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“La buona scuola esiste, ma non è quella propagandata!” Intervista a Benedetta Tobagi

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Benedetta Tobagi con «La scuola salvata dai bambini – Viaggio nelle classi senza confini» racconta l’Italia multiculturale. La nostra intervista all’autrice

Le scuole italiane stanno cambiando colore. In dieci anni le presenze degli stranieri sono triplicate, ma le risorse a disposizione sono state dimezzate. Benedetta Tobagi, giornalista, conduttrice radiofonica e già consigliera Rai, è andata a scoprire cosa succede nelle scuole primarie per raccontare le fatiche degli insegnanti, le paure dei genitori ma anche l’inarrestabile e incredibile entusiasmo dei bambini. Perché alla fine sono loro che sanno come ribaltare i pregiudizi e i falsi timori degli adulti.

Tobagi, perché ha deciso di dedicare un libro alla scuola italiana?
«Tutto cominciò un anno fa, in seguito ad alcune dichiarazioni di Matteo Salvini in merito ad una “scuola ghetto” di Brescia. Una dichiarazione a mio avviso intollerabile. Si trattava di un caso particolare perché in quella scuola primaria, dissero i media nazionali, a frequentare le prime classi erano “solo bambini stranieri”. Mi fece indispettire la facilità con cui si definivano stranieri bambini nati in Italia, dunque italiani, seppur certamente con origini straniere. Conoscendo bene Brescia, che ho sempre frequentato – anche per raccogliere materiali e documenti per il mio precedente libro dedicato alla strage di Piazza della Loggia del 1974 –, decisi di andare a visitare personalmente quella scuola, con l’intenzione di produrre un reportage per il quotidiano la Repubblica, e per comprendere da vicino le storie e le vite di insegnanti, bambini e famiglie che regolarmente contribuiscono, spesso anche di tasca propria, a sostenere tutte le nostre scuole italiane: portando materiali, partecipando alle riunioni e alle attività proposte. Volevo anche capire se le paure, che a volte spingono genitori di “bambini italiani” a non iscrivere i propri figli in alcuni istituti ed in particolari zone, potesse effettivamente avere delle motivazioni reali».

E dunque, cosa ha trovato nel suo lungo peregrinare in questo viaggio senza confini tra le scuole italiane?
«Grazie all’aiuto di un amico maestro mi si è aperto un mondo. La scuola, come già intuivo, è proprio una finestra dalla quale poter osservare la presente e la futura società multietnica, nelle sue potenzialità e nelle sue difficoltà. Poi, ho capito anche quanto i racconti proposti da giornali o riportati dalle cronache televisive fossero parziali e molto miopi. La ricchezza e la complessità del “mondo scuola” che ho incontrato e conosciuto da vicino mi ha davvero stupita e coinvolta. Dalla scuola di Brescia è partito il mio tour nelle scuole italiane: dai comuni più importanti con le scuole più rappresentative agli istituti più piccoli dei più piccoli comuni italiani».

Un libro sulla scuola e la multiculturalità, c’è anche altro?
«Raccontando la scuola nel suo complesso e che nel suo seno accoglie e presenta il meraviglioso mosaico multiculturale e di fedi presenti in Italia, credo di essere riuscita a raccontare anche un rappresentativo pezzo di società italiana e che lentamente e inesorabilmente sta cambiando. Solo indagando nella quotidianità è possibile comprendere come in Italia si pratichi davvero l’accoglienza e si viva l’interazione, più che integrazione, con le seconde e le terze generazioni.

Dal suo tour cosa si è portata a casa e cosa ha voluto evidenziare nel libro?
«Il libro è composto da quattordici capitoli e sono partita, come dicevo da Brescia, inizialmente, per poi coprire le città ad alta densità di presenza straniera – ci sono scuole in Italia in cui la presenza di “nuovi italiani” tocca addirittura il 90% come Brescia appunto – Torino, Udine, Roma (Esquilino), Milano (Parco Trotter), Genova (Triangolo industriale) e poi ho cercato realtà rappresentative ma meno conosciute: Ancona nel quartiere del Piano vicino al Porto; nel mantovano due paesini vicinissimi ma diversissimi per tessuto sociale, economico e multiculturale, Suzzara industriale con l’Iveco e Sermide, terra di caporalato al Nord per la coltivazione intensiva di meloni. Poi sono stata nel Centro Italia, ad Amatrice e a Cittareale dove ho potuto visitare uno dei Servizi centrali di protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) di eccellenza, paragonabile all’esperienza di Riace, diventata poi famosa in tutto il mondo. E ancora nel Sud Italia a Napoli e Palermo-Ballarò».

«La scuola salvata dai bambini» è solo un titolo?
«In realtà è il titolo letterale di un’esperienza: quella dello Sprar di Cittareale. Dopo la visita e gli incontri avuti ad Amatrice mi sono spostata in questo piccolo borgo di 500 abitanti e dove, come è successo a Riace, per contrastare lo spopolamento il comune ha deciso di aderire al progetto Sprar del Ministero dell’Interno insieme all’Associazione Comuni Italiani. A Cittareale c’era una piccola scuola che anni fa era a rischio chiusura, se non fosse stata ripopolata da bambini di rifugiati in Italia; inizialmente bambini cosovari, bosniaci e turchi, poi egiziani, afghani, africani. Oggi la scuola ha visto il ritorno di bambini italiani. Una scuola letteralmente salvata dai bambini stranieri. In realtà tutto il paese ha trovato giovamento dal progetto Sprar generando nuove attività commerciali, come ad esempio un birrificio ad alta quota. In Italia abbiamo davvero tanti luoghi a rischio spopolamento, non si tratta di fare “del buonismo” ma di saper cogliere opportunità con intelligenza e capacità di visione a lungo termine. Salvando quella scuola si è salvato l’intero paese. Se muore una scuola muore il suo territorio».

L’immigrazione non è dunque un’emergenza.
«I media nella migliore delle ipotesi e salvo rari casi di esempi positivi alimentano colossali equivoci. Ho visitato periferie e territori di cui i telegiornali si occupano solo in occasione di elezioni amministrative e ho incontrato molte persone. Non posso dire di non aver sentito declamare i classici luoghi comuni: “perché dovremmo accoglierli tutti noi”, il fatto che “ci rubano il lavoro e noi non abbiamo le risorse per sostenerli tutti”. A queste persone ho sempre posto una domanda: “lei lo sa quanti sono gli stranieri presenti in Italia?”. La risposta era sempre approssimativa e stimava in due o trecentomila la presenza. Dicevo loro che in realtà sono cinque milioni i residenti che lavorano, pagano le tasse e che mantengono in vita le nostre contribuzioni previdenziali (come ricorda spesso Boeri) facendo lavori che gli italiani non hanno più voglia di fare. Dunque, dal luogo comune, si passava alla riflessione. Nelle scuole italiane si vive una quotidianità diversa da quella raccontata in tv o “giocata” nei bar.

Allora è giusto parlare di buona scuola?
Certamente, ma non quella propagandata. A scuola l’integrazione esiste, funziona con successo perché i bambini sono duttili e gli insegnati preparati. Le forme di razzismo e di intolleranza alle quali ho assistito spesso si manifestavano attraverso frasi che i bambini avevano sentito dire in casa, proprio dai genitori: razzismo imitativo. La multiculturalità esiste nella normalità, ci sono tanti esempi in Italia di buone pratiche. Chi punta sull’intercultura ha successo, le scuole che la praticano diventano le migliori, le più ricche culturalmente, con didattiche innovative. I problemi nella “buona scuola” nascono proprio dai tagli che, dal 2009 in poi, sono stati attuati dai governi che si sono succeduti, sino a oggi. Il problema dunque non è la presenza di “stranieri”, di “migranti”, ma i tagli feroci fatti che hanno di fatto indebolito le nostre scuole, tolto risorse essenziali che prima c’erano, come ad esempio le ore di compresenza del maestro a tempo pieno, quattro ore in cui i due maestri stavano insieme in classe o ancora l’assenza di facilitatori, insegnati di italiano per i bambini stranieri neo-arrivati. La paura che ci potesse essere un ritardo nell’attuazione dei programmi scolastici ha condizionato molti genitori, inducendoli a scegliere strutture dove fosse meno penalizzante la presenza di bambini con una scarsa conoscenza della lingua italiana. La “Buona Scuola” così tanto sbandierata, è invece una grande bugia che ho potuto riscontrare in tutta Italia».

da Riforma.it


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