“Il filibustiere” – di Joseph Conrad

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Jean Peyrol è un filibustiere rotto a tutto, fuori di ogni legge e morale, al soldo di nessun altra bandiera che non sia il proprio tornaconto, e casomai disposto a riconoscere una sola appartenenza, ai Fratelli della Costa. E’ ormai giunto alla maturità, alto e grosso, dalla forza erculea, i muscoli di ferro e la testa ricoperta da una folta capigliatura che sta ingrigendo. Lo vediamo approdare al porto di Tolone sull’ennesima nave razziata in barba alla sorveglianza della potente flotta britannica; in mare il filibustiere non ha rivali e per i suoi servizi alla patria è stato nominato capo cannoniere della Marina francese, salvacondotto sicuro verso un’esistenza rispettabile. Prima di  sbarcare indossa sotto gli abiti di eccellente fattura una gualdrappa di spessa tela da barca, dentro la quale ha cucito un vero tesoro di monete d’oro  scovate in uno stipetto segreto della nave. Nessun “miserabile doganiere” oserà mettergli le mani addosso e con quel prezioso bottino avrà la vecchiaia assicurata. Siamo nei primi anni dell’800, all’indomani della Rivoluzione Francese; in città migliaia di persone sono state trucidate dai “patrioti”, il sangue è corso a fiumi durante il periodo del Terrore. Peyrol sbrigate in fretta le sue pratiche all’Ammiragliato, si dilegua senza lasciare tracce.  Non lontano, lungo la costa, c’è una lingua di terra di fronte all’isola di Porquerolles, con il villaggio di poche case in cui è nato e che ha lasciato ancora bambino; si di esso domina la fattoria  degli Escampobar, rimasta singolarmente indenne dall’odio rivoluzionario. Un sanculotto sanguinario, il citoyen Scevola Bron, vi ha preso dimora avendo massacrato i proprietari e trascinato con sé la loro giovane figlia Arlette, coinvolgendola in atroci carneficine e conducendola pressoché alla follia. La fanciulla, bellissima, non parla più e si aggira per la casa come uno spettro, al punto che neppure il suo aguzzino si azzarda ad abusare di lei come bramerebbe: se n’è invaghito e attende torvo il momento propizio, un segno di cedimento.

Ed ecco che giunge alla fattoria il poderoso Peyrol a chiedere un alloggio. Lo sconosciuto è disposto a pagare bene per stabilirsi nella camera a tre finestre, in cima alla torretta dell’edificio, da cui è possibile controllare da un lato la baia di Hières e le azzurre ondulazioni all’altezza di Frèjus, dall’altra il semicerchio di scoscese colline fino al porto di Tolone. Lascia capire che se si troverà a suo agio resterà a lungo, anche per sempre: “Pensò che non avrebbe mai voluto allontanarsi da qual posto, come se avesse inconsciamente sentito che la sua anima di vecchio filibustiere avesse sempre avuto radici lì”.

Le due donne della fattoria, Arlette e la zia Catherine, scampata anche lei alla furia omicida del cittadino Scevola, lo accettano di buon grado, e il sanguinario, benché diffidente, non si oppone: “Con le macchie rosse sugli zigomi che spuntavano paonazze dalla folta barba, aveva la  faccia simile a una maschera pitturata”.

Peyrol parla poco secondo la sua indole, e da consumato navigatore sopravvissuto ad esperienze innominabili non si scompone mai di fronte ad alcun pericolo, o imprevisto, o minaccia. I due uomini si studiano, ma senza particolare ostilità: il patriota sa bene di avere di fronte un osso duro, e da subito il forestiero è accolto alla tavola comune, trattato con tutti i riguardi.

Sulla spiaggia di Madragues il filibustiere ha adocchiato “una tartana a due alberi, tristemente inclinata su un fianco, con tutte le manovre imbiancate dal sole che pendevano a festoni e gli alberi secchi e solcati da lunghe spaccature”.  L’imbarcazione era stata anch’essa teatro di eccidi spaventosi, la sua cabina è ancora incrostata del sangue della mattanza. Con l’aiuto di uno sciancato di cervello fino – “c’era una virilità in quel deforme residuo dell’umanità” –  Peyrol con mesi di paziente lavoro risistema la tartana, la rinnova e la vara: “Sentì il richiamo delle sue radici dalla cima dei capelli alla punta dei piedi mentre saliva a bordo come per un lungo e lontano viaggio”.

Trascorrono alcuni anni. La fattoria che sembrava prigioniera di un immobile, cupo sortilegio, è radicalmente mutata. Arlette s’è affezionata a Peyrol e lui a lei; la ragazza ha ripreso a parlare e sta faticosamente recuperando una sua normalità. Anche la vecchia Catherine è cambiata; “manteneva il portamento eretto della famiglia che, per tante generazioni, aveva posseduto Escampobar”, ma in segreto è attratta dal filibustiere: “era solita spiarlo sbirciando da dietro gli angoli o tra le porte socchiuse”; forse nutre un debole per quell’uomo gagliardo, lei che non è mai stata tra le braccia di nessuno. La rivoluzione è ormai alle spalle, sebbene il cittadino Scevola tornerebbe volentieri a  spargere sangue da “vero giacobino, se mai ce n’è stato uno”. Sennonché, come sostiene Peyrol, “Il dio degli aristocratici sta tornando indietro e sembra si stia portando con sé un imperatore”. Il giovane Bonaparte è stato nominato console a vita. Il filibustiere ha ormai tutti i capelli bianchi ma non ha perso nulla della sua baldanza, quando da Tolone arriva alla fattoria un giovane ufficiale della Marina, il tenente Eugène Réal con una missione segreta. Difficile intuirne le mire, ma non per Peyrol a cui non sfugge nulla. Arlette ora ama presentarsi “con la cuffietta arlesiana, la gonna di seta e il bianco fichu, pur restando “inaccessibile come una principessa in mezzo agli zotici”. Il tenente spilungone è ammaliato dalla ragazza: “Il rosso acceso di quelle labbra, l’insondabile trasparenza e perfezione del nero di quegli occhi, il pallore delle sue guance, gli facevano pensare a un che di provocatoriamente pagano”.  Ma il suo rigore da ufficiale e il delicatissimo compito che lo stesso Bonaparte gli ha assegnato, gli impediscono di indulgere ai sentimenti. Gli inglesi che con l’Amelia, una veloce corvetta al comando del Capitano Vincent, presidiano la costa tra il litorale e l’isola di Porquerolles, vanno attirati in un tranello: il giovane Réal dovrà riuscire a farsi catturare con un falso dossier sui piani strategici della flotta francese, rischiando la sicura galera e fors’anche la morte. Soltanto Peyrol, il suo rivale nel cuore di Arlette, sarebbe in gradodi compiere un’impresa così spericolata al timone della sua tartana.  Il vecchio corsaro dovrà prendere una fatale decisione e la trama si infittisce senza concederci scampo. “Il cielo a ovest era giallo, mentre dalla parte dell’Italia offriva lo spettacolo di uno scuro baldacchino, traforato qua e là dalla luce delle stelle”.

Ci sono scrittori comuni, grandissimi scrittori, e gli assoluti fuoriclasse. Poi ci sono gli dei e Joseph Conrad appartiene a questi. La sua potenza narrativa è soverchiante,  trascina il lettore nell’abissale profondità del cuore umano, e allo stesso tempo lo incatena al magnetismo dell’avventura con la destrezza di Stevenson, Dumas, Salgari, Hugo Pratt. Il suo Filibustiere è un personaggio immenso, da cui è impossibile separarsi una volta incontrato. La traduzione e le illustrazioni di Alberto Cavanna, nell’edizione appena stampata da Nutrimenti, concorrono a compiere questo prodigio letterario.


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