Il 3 febbraio, alla periferia del Cairo, veniva ritrovato il corpo barbaramente torturato di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano scomparso nella capitale egiziana il 25 gennaio. In questi sette mesi, si è sviluppato in Italia un enorme movimento di solidarietà, riunito nella campagna “Verità per Giulio Regeni”, cui hanno aderito centinaia di migliaia di cittadini, insieme a enti locali, luoghi d’istruzione, cultura e ricerca, associazioni e mezzi d’informazione. Poiché l’obiettivo della campagna, cui prende parte anche Articolo 21, è nel suo titolo, è evidente che oggi, 3 settembre, ancora non è stato raggiunto. Dalle autorità dell’Egitto – paese nel quale da tre anni a questa parte si registrano migliaia di casi di sparizione e di tortura – questi sette mesi sono stati utilizzati per allontanare da sé, con tutta una serie di versioni inattendibili e veri e propri depistaggi, ogni responsabilità per l’arresto arbitrario, la sparizione, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni.
Per quanto riguarda l’Italia, il primo ministro e il ministro degli Affari esteri hanno più volte detto che non ci si sarebbe accontentati di alcuna “verità di comodo” sull’orribile fine di Giulio Regeni. Ad aprile, è stato temporaneamente richiamato l’ambasciatore. Di quelle misure “graduali e proporzionate”, annunciate all’epoca dal ministro Gentiloni nel caso in cui l’Egitto avesse continuato a non collaborare in modo efficace ed effettivo alle indagini della procura di Roma, non ne abbiamo vista alcuna. Al contrario, da un paio di mesi a questa parte, è forte la sensazione che l’Italia ritenga di aver fatto il massimo e che la ricerca della verità per Giulio Regeni, da impegno politico e morale, sia diventata un fastidio, un ostacolo al desiderio di normalizzare i rapporti tra Roma e Cairo.
Desiderio espresso dal presidente egiziano al-Sisi in recenti dichiarazioni ai media locali e dal ministro degli esteri Choukri nella straordinaria puntata di “Presa diretta” del 29 agosto. Desiderio reiterato anche da quella sorta di “diplomazia parallela” portata avanti dal senatore Barani, sostenitore della teoria del complotto contro le relazioni italo-egiziane. Egli fa parte della maggioranza che sostiene il governo ma né l’una né l’altro hanno avvertito l’esigenza di prendere le distanze dalle dichiarazioni rilasciate ad agosto, nel corso della sua ultima visita in Egitto.
Siamo alla vigilia di un nuovo incontro, la prossima settimana, tra le procure di Roma e del Cairo e anche quell’unica misura presa mesi fa (mentre, ricordiamo, dopo l’omicidio di Giulio Regeni sono proseguite le forniture di armi e di software per la sicurezza), rischia di essere annullata con la richiesta di gradimento e poi l’invio del nuovo ambasciatore Contini al Cairo. Di fronte a questa ipotesi – come minimo inopportuna e intempestiva – A buon diritto, Amnesty International Italia e Antigone hanno raccolto l’appello fatto dai genitori di Giulio Regeni a “Presa diretta”: non inviare il nuovo ambasciatore al Cairo fino a quando non avremo la verità.
La petizione che ne è derivata è qui