Alessandro Cardulli
In modo diverso perché diversi sono i personaggi, diverse le loro storie, il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker e il presidente emerito Giorgio Napolitano strigliano Renzi Matteo, il giovanotto di Rignano che si trova ad esercitare, provvisoriamente, il ruolo di presidente del Consiglio, sede a Palazzo Chigi dove opera tutta la squadra dei suoi “consiglieri” personali. Il primo è stufo di assistere ai suoi piagnistei, alle continue richieste di flessibilità, di sentirlo bussar cassa, di darsi le arie da primo della classe, di vederlo fare boccucce quando si sente messo in angolo.
“Piano Juncker” per mobilitare 88 miliardi da investire in Africa. O l’Africa viene in Europa
Al “faremo da soli”, detto da Renzi per quanto riguarda l’emigrazione dall’Africa, ha annunciato, ma lo aveva già detto anche la Mogherini, il lancio di un “Piano Juncker per l’ Africa”. “Alla frontiera mediterranea fra la Libia e l’Italia – ha ricordato il presidente della Commissione europea – ci sono 225.000 di questi profughi che attendono di attraversare il Mediterraneo. Questo non è possibile. Alla Commissione abbiamo proposto di estendere verso l’Africa il piano per gli investimenti. Stiamo dunque per lanciare un Piano Juncker per l’Africa che, se gli Stati membri lo accompagnano, ciò che non è evidente, potrebbe mobilitare in Africa 88 miliardi di euro di investimenti”. “Se l’Europa non investe in Africa – ha sottolineato il presidente della Commissione -, l’Africa verrà in Europa. È una prospettiva che non mi fa paura, ma è più intelligente rendere più felici sul posto coloro che sono infelici, piuttosto che invitarli ad attraversare il Mediterraneo per poi ritrovarsi in una situazione drammatica in Europa”.
I Consigli del presidente emerito al premier come a un figlio
Il secondo, da buon padre di famiglia cerca di dargli consigli come a un figlio. Del resto Napolitano si sente in colpa perché lui stesso gli ha consigliato di percorrere quella strada che ha portato ad una riforma costituzionale sempre criticata, che spacca il partito, il Pd, di cui l’uno è segretario, l’altro l’esponente più rispettato. Non solo, gli ha consigliato di dire chiaro e tondo che l’Italicum non va bene, ma lui cincischia, prende tempo, fa presentare alla Camera mozioni pastrocchio insieme ai suoi alleati di governo, sotto lo sguardo vigile di Verdini.
Mentre la crisi morde sempre più il ministro per lo sviluppo si gingilla con un fantasioso piano
E lui che fa? In una situazione di profonda crisi del nostro Paese che non cresce, con tutti gli indicatori economici che segnano negativo, al massimo uno zero qualcosa, tanto da essere chiamato scherzosamente ma non troppo “mister zero virgola” si affida al ministro Calenda che presenta un fantasioso piano denominato “Industria 4.0”, come si usa oggi quando si vuol dire tutto o niente. Calenda che, fra l’altro si dice punti a far le scarpe a Renzi, parla di “quarta rivoluzione industriale”. Tutto robotizzato, produzione quasi interamente automatizzata. Non si sa dove intende mettere i disoccupati che verranno creati. Nel caso, si può sempre rivolgere al ministro Poletti. Con il suo Jobs act risolve tutto. Oppure ci si può rivolgere a una non meglio identificata “manifattura”, sperando che dagli industriali arrivino 10 miliardi di investimenti nel 2017. In altro articolo Giuseppe Casadio fa le pulci alla Industria 4.0. Qui ci limitiamo a riferire che questa “cosa”, è stata presentata al Museo della scienza e della tecnica di Milano, dinanzi a una folta platea di industriali, e in mattinata alla “cabina di regia”, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, quello del Lavoro Giuliano Poletti, dell’Istruzione Stefania Giannini, dell’Ambiente Gianluca Galletti, dell’Agricoltura Maurizio Martina, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e l’amministrazione delegato di Cassa depositi e prestiti, Fabio Gallia. Neppure l’ombra di un dirigente sindacale. O perlomeno non viene citato.
Il premier, parole al vento: “L’Italia patria delle possibilità e delle opportunità”
Carlo Calenda ha infatti spiegato che il piano sarà coordinato da una “cabina di regia. E la verifica sarà spietata. La regia sarà gestita, dice sempre il ministro, in un primo momento da governo e imprese, poi entreranno anche le Regioni”. Insomma una cogestione fra governo e imprese. Brutalmente fra governo e padroni. Non è affare da sindacati. Non ne avevamo dubbi. Il sigillo lo ha messo Renzi Matteo che, nel pomeriggio, ha dato fiato ad una sua pensata: “Noi pensiamo che l’Italia debba essere patria delle possibilità”, dobbiamo “cambiare la mentalità e dire che l’Italia è la patria delle possibilità e delle opportunità”. Davvero geniale.
La flessibilità Ue ha finanziato la legge di stabilità 2016 per 19 miliardi, il 66%
Possibilità e opportunità che hanno bisogno, guarda caso, di miliardi pubblici, come è noto gli imprenditori sono abituati al mordi e fuggi, mentre “Industria 4.0” dovrà entrare nel patto di stabilità, nel documento di Economia e Finanza. E si torna a Juncker il quale, proprio rivolto al governo italiano afferma: “Nel Patto di stabilità, che non deve essere un patto di flessibilità, abbiamo già introdotto molti elementi di flessibilità combattendo contro chi sapete” e senza i quali elementi “l’Italia quest’anno avrebbe potuto spendere 19 miliardi di meno”. Intervenendo all’assemblea plenaria del Cese, Comitato economico e sociale europeo, ha ricordato che “abbiamo introdotto la clausola degli investimenti e l’Italia è l’unica che ne beneficia”. Di fatto Juncker fa sapere che la Legge di Stabilità 2016 da 30 miliardi di euro, varata lo scorso anno da Palazzo Chigi, sarebbe stata finanziata per quasi il 66% dalla flessibilità europea. Per quanto riguarda lo stato dell’Unione, Juncker parla di “disoccupazione ancora troppo alta, di rotture e fessure pericolose”. Poi dopo aver usato il bastone nei confronti di Renzi offre la carota.
Juncker ringrazia l’Italia e afferma: La ripartizione dei rifugiati si deve fare in modo solidale
“L’Unione europea”, prosegue, è “alle prese con le crisi dei rifugiati, la Brexit e la mancanza di investimenti” oltre alle situazione “in Ucraina e Siria e si dimentica che la Siria è un vicino dell’Europa, perché è molto vicina a Cipro”. La Ue è “davanti ad una policrisi”. Poi usa parole di encomio, così scrivono le agenzie di stampa, nei confronti dell’Italia e anche della Grecia a fronte dell’emergenza migranti. “Le ammiro – afferma – per quanto fanno per gestire il fenomeno dei richiedenti asilo. L’Italia fa ancora di più perché salva migliaia di vite al giorno. La Ue non deve lasciare sole l’Italia, la Grecia o Malta”, i paesi in prima linea che la Ue deve assistere, ma “questi sono i motivi per cui l’Unione si spacca”. Le navi messe a disposizione dai paesi Ue, ha ricordato Juncker “salvano i naufraghi e li trasportano tutti in Italia, lasciando agli italiani il compito di accoglierli, nutrirli e sistemarli. Credo invece che la ripartizione dei rifugiati si debba fare in modo solidale. Ci sono paesi che lo fanno, mentre altri dicono che essendo paesi cristiani non vogliono i musulmani. È un ragionamento inaccettabile: prima vengono le persone, poi le religioni, non il contrario. Dobbiamo accogliere sul nostro territorio tutti quelli che fuggono dalla guerra, a prescindere dalla loro religione”.
Napolitano: ripensare le istituzioni europee, rivedere i Trattati
Giorgio Napolitano si muove sulla stessa lunghezza d’onda. Il Corriere della Sera che pubblica una sua intervista così la sintetizza: “Sono comprensibili le critiche del premier Matteo Renzi all’Unione Europea, ma non si può fare da soli”. “Mesi fa” dice il presidente emerito, “presentando al Senato il mio libro sull’Europa, dicevo che l’immagine dei 28 capi di governo che viaggiano da una riunione all’altra, spesso riprendendo le decisioni da quella precedente o rinviando tutto ancora a quella successiva rispecchiava uno stato delle istituzioni europee ormai non a lungo sostenibile”. Poi viene alla riunione di Bratislava che “è stata solo una conferma”. Quindi, per il presidente emerito, “che si sia colta quest’ultima occasione di elusività e inconcludenza per dissociarsene, come ha fatto il presidente del Consiglio italiano, magari anche per comportamenti ritenuti scorretti nei nostri confronti, è pure comprensibile ma l’occasione di Bratislava non merita particolare considerazione, né può far trascurare il quadro per altri aspetti ben più importanti e positivi”.
Analizzando la crisi che sta scuotendo le istituzioni europee, Napolitano sottolinea quanto debba cambiare anche il ruolo dell’Italia. Parla di “leadership della Germania federale premuta da una crisi della sua posizione all’interno del Paese, di una tendenziale perdita della sua ‘capacità di orientamento’ in seno alle istituzioni europee e nei rapporti con l’insieme degli Stati membri”. Parla di compito dei governi più consapevoli della gravità della crisi, della ricerca di soluzioni in positivo, come il governo italiano le cui responsabilità si sono accresciute, pur fuori di intenti liquidatori della storica tradizione dell’intesa franco-tedesca. Per l’Italia – conclude- è “necessario impegnarsi concretamente su scelte volte a ripensare istituzioni dell’Unione, scrissi nel marzo scorso, divenute pletoriche o comunque poco governabili ed efficaci. Si imponga a tal fine o no una revisione dei Trattati”. Parole molto distanti dal “faremo da soli”. Ma da quell’orecchio difficilmente Renzi Matteo mostra di intendere.