Il conflitto in Yemen assomiglia sempre più a quello in Siria, ma nessuno ne parla.
La situazione è talmente grave che nelle scorse settimane Medici senza frontiere, dopo l’attacco aereo sull’ospedale di Abs che ha fatto almeno 11 vittime e ne ha ferite 19, ha deciso di sospendere le attività in sei strutture in cui prestava assistenza agli operatori locali.
Il bombardamento di metà agosto ha ucciso sul colpo nove persone, tra cui un membro dello staff di Msf, mentre altri due pazienti sono morti durante il trasferimento all’ospedale di Al Jamhouri.
Il centro ospedaliero di Abs, supportato dalla ong internazionale dal luglio 2015, è stata parzialmente distrutto e tutti i ricoverati e il personale sopravvissuti sono stati evacuati.
Le coordinate GPS della struttura erano ben note alle parti in conflitto, compresa la coalizione a guida saudita che supporta le forze governative. Ma, pur essendo la sua localizzazione conosciuta da tutti, le bombe non l’hanno risparmiata.
Teresa Sancristóval, responsabile dell’unità di emergenza colpita, ha evidenziato che si è trattato del quinto attacco contro una struttura MSF in Yemen in meno di 12 mesi.
Anche questa volta le conseguenze del bombardamento di un ospedale in piena funzione si sono rivelate particolarmente tragiche. Chi bombarda non tiene conto della presenza di pazienti e del personale medico nazionale e internazionale che garantisce assistenza a centinaia di civili feriti.
Come in Siria, anche quella in Yemen è una guerra che non mostra alcun rispetto per le strutture sanitarie e i bisognosi di cure.
Nonostante l’ok unanime alla risoluzione delle Nazioni Unite che chiedeva di porre fine agli attacchi contro centri medici, e le dichiarazioni di alto livello perché sia rispettato il Diritto Internazionale Umanitario, le parti coinvolte nel conflitto yemenita continuano a violare queste regole.
Senza azioni concrete le parole e i gesti pubblici di disapprovazione restano privi di significato.
Sia che si tratti di intenzionalità che di negligenza, i raid su ospedali e altre strutture sanitarie sono inaccettabili.
Le persone in Yemen continuano a essere uccise e ferite nei luoghi in cui dovrebbero essere curate.
Il conflitto sta avendo un peso e conseguenze sproporzionate sui civili.
Da luglio 2015, si legge sul sito di Msf, l’ospedale di Abs, principale centro sanitario in funzione nell’area occidentale del governatorato di Hajjah, aveva curato 4.611 pazienti ed era dotato di un pronto soccorso con 14 posti letto, un reparto di maternità e uno di chirurgia.
Nelle ultime settimane nella struttura era stato registrato un aumento di pazienti feriti, soprattutto vittime dei recenti combattimenti e della campagna di raid nell’area.
Dallo scorso 6 agosto gli scontri e le operazioni militari si sono intensificati, rendendo le attività umanitarie quasi impossibili.
In un tale contesto, dopo Msf anche Medecins du monde ha deciso di evacuare tutto il suo personale.
L’ong francese che si occupa di fornire cure sanitarie in varie aree di crisi nel mondo, in Yemen operava nella capitale Sana’a.
Un ennesimo colpo alla già precaria rete di assistenza a feriti e ammalati dopo l’abbandono di Medici senza frontiere di sei ospedali nei quali forniva personale di supporto, nel nord del Paese.
A pesare sulla decisione delle organizzazioni non governative gli appelli alla comunità internazionale, affinché si mobilitasse per ottenere la fine dei bombardamenti e l’accesso senza ostacoli alla popolazione, caduti nel vuoto.
Per tutti è paese che non sia stato fatto abbastanza per garantite il rispetto del diritto umanitario internazionale: gli aiuti e la possibilità di curare i feriti durante un conflitto armato devono essere resi più semplici.
Il direttore di Mdm Jean-Francois Corty, annunciando la decisione di sospendere le attività in Yemen, ha spiegato che a fronte dell’80% dei civili che ha bisogno di assistenza sanitaria urgente, il 25% delle strutture mediche è stato distrutto o rese inutilizzabili.
Situazione disastrosa anche sotto l’aspetto alimentare, metà della popolazione è in uno stato di grave insicurezza.
Quella in corso da 18 mesi nel paese miediorientale è una guerra feroce, peggiorata con l’intervento della coalizione internazionale guida dall’Arabia saudita che sta cercando di piegare la resistenza degli houti e ripristinare il governo del presidente Abd Rabbih Mansour Hadi.
Secondo le ultime stime Onu dall’inizio del conflitto almeno 10mila persone hanno perso la vita e 3 milioni sono state costrette a lasciare le proprie case.
Tra le ultime vittime, in un raid che ha distrutto un’abitazione nel villaggio di Maran, a nord-est della capitale yemenita, dodici civili, tra cui la maggior parte donne e bambini.
I ribelli sciiti Houthi hanno accusato i sauditi di aver colpito deliberatamente l’obiettivo e ha invocato un intervento della comunità internazionale per “mettere fine ai sistematici massacri e aggressioni” in Yemen.
La stessa fonte, pochi diorni prima, aveva denunciato l’uccisione di 16 persone in un attacco simile nella provincia di Saada.
Anche grazie a queste azioni militari le truppe governative yemenite stanno riconquistando il controllo di città nelle mani del fronte della ribellione guidato dall’imam Abdel Malik al Houthi.
Ieri, secondo quanto riferiscono i media yemeniti, la cittadina di Houta, nella provincia di Lahij, è tornata ‘alla normalità’ dopo l’arrivo delle forze fedeli al presidente Abde Rabbo Mansur Hadi che l’hanno liberata dalla presenza sciita e “stanno riportando la sicurezza nella zona e in quelle circostanti”.
Houta è una città distrutta. Mancano i servizi essenziali perché la maggior parte delle infrastrutture sono state ridotte in macerie.
Questo successo del fronte governativo rientra nella lenta avanzata dell’esercito di Hadi verso la capitale Sana’a, un’ascesa caratterizzata da eccidi che hanno coinvolto innumerevoli civili.
Le Nazioni Unite hanno chiesto recentemente la creazione di un organo internazionale indipendente per condurre un’inchiesta sulle gravi violazioni in corso nel conflitto nello Yemen.
L’Ufficio per i diritti umani dell’Onu ha inoltre reso noto la settimana scorsa che circa 7,6 milioni di persone, inclusi tre milioni di donne e bambini, sono a rischio di malnutrizione, mentre altri tre milioni hanno dovuto lasciare le proprie case.
Almeno 5059 bambini sono invece stati reclutati per combattere nel paese, in particolare nell’area di Sana’a, tra il luglio del 2015 e il maggio del 2016.
Dati drammatici che testimoniano la vastità del conflitto e confermano quanto vergognoso sia il silenzio dei media e sconfortante l’impotenza degli organismi internazionali che dovrebbero e potrebbero fare di più.