Aveva imposto “tramite minaccia” al giornalista Alessandro Bozzo, morto suicida il 15 marzo del 2013, di rinunciare ai benefici di un contratto di lavoro a tempo indeterminato come condizione per continuare a lavorare nel giornale Calabria Ora. Per il reato di violenza privata nei confronti del cronista calabrese, l’editore Piero Citrigno è stato condannato a quattro mesi di reclusione dal giudice Francesca De Vuono del Tribunale di Cosenza. Una pena nettamente al ribasso rispetto ai quattro anni richiesti dai pm della procura cosentina. Come si legge nel decreto di citazione a giudizio “Citrigno avrebbe detto chiaramente che chi voleva continuare a lavorare doveva dimettersi e accettare il nuovo contratto ma alle sue condizioni […]. Da quel momento Alessandro precipitò in uno stato di frustrazione che gli fece perdere anche la passione per il proprio lavoro”. Inoltre, l’azione dell’editore – scrive nella sua relazione annuale l’Osservatorio “Ossigeno” – sarebbe stata mirata “a liberarsi di un giornalista scomodo, uno che metteva il naso negli affari della città, nelle inchieste su appalti e corruzione”.
Arriva così ad un primo epilogo una vicenda che ha condizionato la vita privata e professionale del giornalista Alessandro Bozzo e non solo. Anche quella di una redazione, stretta fra precariato giornalistico, diritti negati e le minacce della ‘ndrangheta. Una storia su cui i pm di Cosenza vogliono vederci chiaro tanto da aver chiesto nel luglio scorso la trasmissione degli atti per il reato di estorsione e violenza privata ai danni di altri quattro giornalisti. In aula, ad attendere la sentenza i familiari di Alessandro, alcuni colleghi e una delegazione di Libera.
Il punto con il presidente della Federazione nazionale della stampa, Beppe Giulietti, che afferma: “Non crediamo che quello di Alessandro Bozzo sia un caso isolato”.
Presidente, cosa rappresenta questa sentenza di condanna per il mondo del giornalismo?
Quella di oggi è una sentenza importante che fa luce su un fatto gravissimo. La procura della Repubblica di Cosenza ha mosso delle accuse pesantissime contro Citrigno nell’ambito di un processo. Accuse documentate e non frutto del sentito dire o del pettegolezzo, come dimostra la condanna. L’accusa di violenza privata ai danni di Alessandro Bozzo temo non sia un caso isolato nel panorama giornalistico. E’ peraltro possibile che dalle motivazioni della sentenza emergano ulteriori elementi. C’è un contesto culturale, non solo in Calabria, per il quale la soppressione dei diritti e in particolare di quelli dei più esposti, dei più deboli, non vengono più messi al centro dell’attenzione collettiva.
Nella relazione della Commissione parlamentare antimafia presentata nel marzo scorso in parlamento dall’onorevole Claudio Fava si fa riferimento ad alcuni episodi che attraversano proprio la vicenda di Calabria Ora e di altri quotidiani calabresi. Qual è la situazione attuale in cui si trovano ad operare i giornalisti in Calabria?
Voglio premettere che condivido la relazione della Commissione antimafia, pagina per pagina, per quel che riguarda tutto il territorio nazionale e ancora più per la Calabria. La situazione è quella che da tempo denuncia un giornalista calabrese sotto scorta come Michele Albanese. La Calabria è forse la regione più rischiosa in questo momento per i giornalisti. Qui, le pressioni e le intimidazioni si esprimono in modo sotterraneo, c’è una forte area grigia, sono altrettanto pesanti gli intrecci fra massoneria e pezzi di istituzioni deviate.
E – va detto – che hanno un peso anche le connivenze di chi dovrebbe illuminare queste oscurità. Quello del giornalismo calabrese è un fronte che andrebbe quotidianamente illuminato. Io mi auguro che la relazione della Commissione antimafia, approvata all’unanimità, porti le istituzioni ad agire di conseguenza. Che si dia forza ad alcuni uffici che indagano in Sicilia, in Calabria e in Campania, in particolare. Si tutelino i cronisti che sono stati lasciati senza una adeguata protezione e si risolva il tema delle querele. Perché la mafia dei “colletti bianchi” usa le querele temerarie come una delle principali armi di aggressione. Ed è necessario mettere una norma che costringa il querelante temerario, se sconfitto, a lasciare il 50% del “malloppo” richiesto. Chi usa le querele temerarie ha nel mirino non il singolo cronista ma l’articolo 21 della Costituzione.
Il “caso Bozzo” e la relazione firmata dell’onorevole Fava aprono una riflessione anche sul ruolo degli editori. Cosa sta facendo la Fnsi su questo fronte nel confronto in corso con la Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali)?
Ho la sensazione che molti imprenditori che vogliono fare gli editori non si pongano, come buona parte del Paese, il tema della tutela della Costituzione e della legalità. Io penso, invece, che se si vuol fare l’editore – e questo vale anche per i giornalisti che hanno le loro “zone grigie” – bisogna tenerne conto. E’ ora di dare battaglia a quanti pensano di poter fare gli editori o i giornalisti senza mettere al centro la Costituzione. Ci sono aree di connivenze e di indifferenza. La Federazione della Stampa sta provando a rompere il silenzio. Per quanto riguarda il ruolo che dovrebbero svolgere altri, talvolta potrei dire: non pervenuti…