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Bolivia, la fine dello stato rivoluzionario? Intervista al giornalista Ilya Fortún

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In Bolivia, negli ultimi anni, sono aumentati il disequilibrio micro regionale e i conflitti sociali. La Paz, storicamente più vicina al progetto dello “Stato rivoluzionario” del partito MAS e di Evo Morales, ha perso negli ultimi 15 anni il primo posto nello sviluppo economico regionale (El Diario, 24/06/2016), rimpiazzata da Santa Cruz de La Sierra: quest’ultima, che fu per molto tempo il tallone di Achille per la politica di sinistra di Morales, oggi partecipa con il 30% al PIL del paese.
A La Paz, abbiamo intervistato Ilya Fortún, ex opinionista del giornale La Razon e giornalista del quotidiano indipendente “Página Siete”, che ci ha dato il suo punto di vista.

Le esportazioni verso gli Stati Uniti sono triplicate negli ultimi 5 anni, però l’investimento straniero diretto è caduto di un 20% nel 2015, un deficit di 144 milioni rispetto al 2014  (Economía Bolivia, 22/06/2016). Che relazione c’è tra la gestione del governo Morales e l’attuale situazione internazionale?
Una relazione molto stretta. Como giustamente dicevi, il destino e l’economia della Bolivia sono sempre più vincolati alla dipendenza dalle materie prime, soprattutto il gas, i minerali e la soia. La caduta del prezzo del petrolio sullo scenario globale ha avuto un forte impatto sull’economia boliviana, un impatto da 4.000 milioni di dollari! Una cifra molto importante per le dimensioni della nostra economia, che allo stesso tempo ha avuto ripercussioni negative sull’economia reale delle famiglie. A livello locale, il governo ha fatto di tutto per evitare una ricaduta negativa sulla popolazione, attingendo a prestiti internazionali che hanno raggiunto, negli ultimi tempi, cifre record nella storia economica del paese.
Il governo ha chiesto prestiti a Cina e Russia, indebitandosi con crediti molto pericolosi a livello di politica economica, dato che molte di queste pratiche finanziarie non sempre sono trasparenti; allo stesso tempo sta pensando di mettere le mani sui risparmi privati dei fondi pensioni dei cittadini (AFP) – praticamente una INPS privata (n.d.a.) – ciò vuol dire che sta facendo di tutto per mantenere la liquidità alla quale noi boliviani ci siamo abituati negli ultimi 9 anni di bonazza economica: stanno ipotecando il futuro del paese!
La gente non sente ancora l’impatto della crisi nel proprio portafoglio, però inizia a vedere la crisi di governabilità nei comuni e nelle regioni, che non ricevono più le tasse derivate dalla esplorazione ed estrazione degli idrocarburi. La crisi è arrivata in Bolivia per la caduta dei prezzi delle materie prime a livello globale e allo stesso tempo come conseguenza di una politica economica miope da parte del governo, che non ha saputo sfruttare questi ultimi 10 anni di crescita e sviluppo economico eccezionali per la storia boliviana; non ha saputo creare un modello di sviluppo distinto e tantomeno non ha saputo generare fonti alternative di ricchezza, aiutando a strutturare un vero modello industriale a scala nazionale. Oggi, siamo dipendenti più che mai dall’estrazione delle materie prime, siamo un’economia assolutamente legata alle materie prime! Il futuro è molto complicato.

La legge suprema 2765 dei primi di maggio ha chiuso definitivamente l’impresa statale ENATEX (La Razón, 23/06/2016). Il recente scontro con il sindacato COB, la polizia e il governo Morales è il sintomo di un malessere dei settori che appoggiavano lo Stato rivoluzionario?
I sintomi delle tensioni interne sono molto forti, lo erano prima della sconfitta del 21 di febbraio, quando le frizioni interne al governo, spinsero il presidente Morales a indire il referendum per la sua seconda rielezione; Morales lo fece cercando una prova di lealtà interna, ma sbagliò completamente il momento storico e non seppe leggere con lucidità gli avvennimenti che lo circondavano. Perse il referendum. Ovviamente, dopo la sconfitta, i problemi interni alla maggioranza sono aumentati e la conseguenza è stata una perdita della fiducia e l’aumento della lotta politica in forma violenta.
In Bolivia stiamo soffrendo a causa di un regime autoritario che non si vedeva dalla ripresa democratica del 1982. Sono iniziate le persecuzioni sistematiche ai giornalisti, agli opinionisti, agli oppositori, usando la giustizia con fini personali e politici; i problemi sono molto grandi, molti giornalisti e dirigenti dell’opposizione stanno chiedendo protezione a livello internazionale, perchè il governo ha deciso di “sfiancare” l’opposizione utilizzando metodi violenti e nascondere i problemi di corruzione per non danneggiare l’immagine del presidente.
Uno dei sintomi più palesi è stato ed è l’allontanamento, anche se non definitivo, tra il governo e la Centrale Operaia Boliviana; tra i due c’è sempre stato un patto di “amicizia” e reciprocità negli anni passati. Il patto, però, debilitò molto la facoltà di negoziazione della COB, difatti “dormire” con il governo e appoggiarlo incondizionalmente le ha tolto molta credibilità e rappresentatività all’interno della realtà sindacale. Non è la stessa COB di prima: gli attriti con il governo e i problemi interni l’hanno indebolita sempre di più; anche il governo non è più lo stesso di qualche anno fa e la deriva autoritaria che stiamo vivendo non è un segnale di forza, è invece la dimostrazione della sua debolezza politica.

Lo scorso 23 di giugno, il governo boliviano chiese la rinuncia del Segretario Generale della OEA, Luis Almagro. «la OEA è un organismo golpista che va contro i propri stati membri» disse l’ambasciatore Diego Pary davanti all’organismo internazionale americano (La Razon, 23/06/2016). I paesi membri di ALBA stanno lottando per la loro sopravvivenza e quindi attaccano l’OEA?
Una delle cose che ci tocca vivere in Bolivia, è che il presidente Morales e il governo del MAS non stanno difendendo nessun tipo di progetto ideologico e nemmeno un progetto politico: per dirlo in modo diretto, stanno difendendo solo il proprio “culo”. Con l’idea che avevano di rimanere al governo 30 0 50 anni, hanno commesso atti di corruzione troppo imprudenti e tutti questi misfatti stanno uscendo alla luce. Loro lo sanno e,  prima o poi, perderanno il potere; dovranno risponderne davanti alla giustizia, coscenti del fatto che non sarà possibile per loro un futuro di autoesilio come successe in Argentina o come succede adesso in Brasile con Dilma Russef.
Per loro è una questione di sopravvivenza e sicurezza, si stanno difendendo con le unghie e con i denti, con dichiarazioni e comportamenti che non rientrano nel bonton politico; il tono che hanno usato nei confronti di Almagro denota paura, hanno molta paura! Per loro la sopravvivenza del regime in Venezuela è probabilmente di vita o di morte, perchè costituisce un possibile destino di autoesilio, ed è l’unico alleato che gli rimane nella regione latinoamericana, dato che Correa ha deciso di non candidarsi nuovamente (Ecuador).
Vedono il proprio futuro nero, hanno commesso atti di corruzione molto gravi in Bolivia, come il caso del Fondo Indígena, dove non hanno avuto neanche la sensatezza di mantenere le apparenze. Il paese li chiederà una spiegazione, prima o poi, e loro lo sanno. Hanno fatto di tutto per rimanere al governo e stanno facendo cose molto pericolose per un paese democratico.

Evo Morales ha affermato che nel continente americano esistono ancora 3 grandi problemi da risolvere, dopo gli accordi di pace tra il governo colombiano e la FARC: Guantanamo per Cuba,  le isole Malvinas per l’Argentina e lo sbocco al mare per la Bolivia (ABI, 23/06/2016). Che si aspettano i boliviani e il governo dalla decisione della Corte Internazionale dell’Aya nel processo con il Cile?
È stato uno dei pochi temi che hanno unito tutti i boliviani. Il presidente Morales ha avuto un ruolo fondamentale nel processo dell’Aya. Ha ottenuto l’appoggio di tutto il paese, purtroppo credo che con il problema delle acque del Silala, la minaccia cilena e la repentina azione giudiziaria del Cile contro Bolivia gli scenari politici e giudiziari saranno un pò più complicati; allo stesso tempo mi sembra che si agisca con una certa ideologia, un riflesso della situazione politica interna. La speranza di tutto il popolo boliviano è arrivare a un accordo e a una negoziazione che possa portarci a qualche risultato concreto. La strategia usata è una novità a livello del diritto internazionale e non ha niente a che fare con non riconoscere il trattato del 1904, è una strategia che il Cile non si aspettava e cha apparentemente sta funzionando.


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