Quest’articolo inaugura una spero lunga serie di riflessioni politiche che nascono non solo dall’osservazione delle vicende d’attualità ma anche dalla lettura di saggi e qualche volta, perché no, anche di romanzi dedicati a temi sociali dirimenti per il futuro del nostro pianeta e, in particolare, dell’assetto socio-economico e geo-politico dell’Occidente.
Partiamo da “Ada Colau, la città in comune” di Giacomo Russo Spena, giornalista di “MicroMega”, e Steven Forti, nato a Trento ma da dodici anni residente a Barcellona nonché ricercatore integrato dell’Instituto de Historia Contemporanea dell’Universidade Nova de Lisboa e collaboratore di giornali e riviste in Italia, Spagna e Grecia.
Il saggio, pubblicato da Alegre, piccola ma combattiva casa editrice romana, storicamente di sinistra, ripercorre le tappe che hanno condotto quest’attivista barcellonese dai movimenti per la difesa della casa alla conquista del comune più importante della Catalogna, con una formazione, Barcelona en Comú, sostenuta da Podemos, da un cospicuo universo movimentista, da alcuni partiti locali, quali l’ICV (Initiativa por Catalunya Verds), EUiA (Esquerra Unida i Alternativa), gli ecologisti di Equo e Procés Constituent e, in particolare, da una cittadinanza stufa tanto del liberismo selvaggio di Xavier Trias, l’ex sindaco di centrodestra, quanto di una sinistra tradizionale, quella del PSC (Partit dels Socialistes de Catalunya), che dopo la positiva esperienza di Pasqual Maragall (sindaco di Barcellona dall’82 al ’97: un quindicennio durante il quale ebbe modo di guidare la città verso la riscossa, cogliendo risultati importanti e tuttora celebrati come le Olimpiadi e rendendo il capoluogo catalano un modello nel contesto della nuova Spagna democratica) si è lasciata andare a una pericolosa deriva liberista che ha pagato nel 2011, perdendo il comune dopo trentadue anni ininterrotti di governo, e continuerà a pagare ancora a lungo, almeno fino a quando non avrà la forza e il coraggio di elaborare una nuova visione del mondo rispetto a quella espressa e praticata nell’ultimo quindicennio.
Ada Colau, fondatrice della PAH (la Plataforma de Afectados por la Hipoteca), in prima fila contro la barbarie degli sfratti che ha lasciato migliaia di famiglie in mezzo alla strada, a causa della bolla edilizia esplosa in concomitanza con la crisi globale e alla base di essa per quanto riguarda la Spagna, e generato un malessere e un senso di abbandono sociale senza precedenti.
Ada Colau: attivista, movimentista e militante in grado di restituire voce, speranza e dignità alle categorie escluse e dimenticate, come ad esempio i cittadini del Nou Barris e degli altri quartieri periferici lasciati affondare sotto il peso dei propri problemi, mentre la giunta Trias si preoccupava unicamente di rendere la città splendente agli occhi dei turisti, curando le zone effervescenti del porto Olimpico e della Diagonal.
Ada Colau: una figura che sta emergendo a ritmi vertiginosi, si dice anche in contrasto con il leader di Podemos, Pablo Iglesias, dal quale, non a caso, ha preso le distanze per quanto concerne, ad esempio, la collocazione internazionale, essendo Iglesias schierato con Tsipras e con la sinistra del GUE e la Colau al fianco di Varoufakis e del neonato movimento europeo Diem25, il quale si propone di dar vita a una sorta di rete continentale in grado di mettere in relazione tutte le positive esperienze di neomunicipalismo e di opposizione socio-politica al liberismo che stanno emergendo in questi anni.
Non sorprende, pertanto, che il sindaco più interessato al modello Colau sia, alle nostre latitudini, Luigi De Magistris, il quale ha rilasciato una lunga intervista agli autori dell’opera, raccontando la sua esperienza da sindaco di Napoli e mettendo in evidenza i punti di contatto (molti) e le differenze (poche e legate per lo più alle diverse biografie dei due soggetti in questione) che lo legano alla collega di Barcellona.
Non siamo al cospetto di una figura facile, sia chiaro: donna combattiva, tenace, avvezza a circondarsi per lo più di fedelissimi e amici della prima ora, il cosiddetto pinyol, piuttosto restia a prendere posizione sul tema scottante dell’indipendenza della Catalogna, al punto di tenersi alla larga dalle Regionali catalane del 27 settembre 2015, trasformatesi, per via delle mire dell’ex presidente Artur Mas, in un plebiscito trasversale sulla secessione della regione dalla Spagna, e invece molto attiva nella campagna elettorale per le Politiche del 20 dicembre dello stesso anno che hanno regalato a Podemos un risultato di tutto rispetto.
Tuttavia, la vera sfida della Colau inizia adesso, in quanto non c’è dubbio che lo stallo che permane da quasi un anno nel Paese e la scarsa capacità di azione politica dei leader storici di Podemos, per non parlare dei socialisti, devastati al proprio interno da una guerra fratricida fra il segretario Pedro Sánchez e l’ex presidente del Consiglio, Felipe González, stiano mettendo seriamente a rischio la credibilità delle istituzioni. E così, con un Rajoy azzoppato dalla vittoria mutilata conseguita lo scorso 26 giugno, un Rivera di Ciudadanos incapace di trasformare la sua destra liberale e alternativa nel partito di riferimento della galassia conservatrice, il PSOE spaccato a metà, fra movimentisti desiderosi di affrontare la sfida di un governo con i viola di Iglesias e i tradizionalisti che spingono per un governo di larghe intese, e lo stesso Podemos che potrebbe pure accettare l’offerta di collaborare con il PSOE ma difficilmente accetterà di buon grado qualsivoglia sostegno da parte di Ciudadanos, mentre le formazioni locali basche e catalane sono tornate alla carica per rivendicare l’indipendenza delle rispettive regioni, ecco che la mite ma tenacissima Colau sta alla finestra.
Nell’opera di Russo Spena e Forti si evince che la sua tabella di marcia prevederebbe un secondo mandato da alcaldesa di Barcellona e poi il salto nella politica nazionale: tutt’è capire se da leader di Podemos, al posto di un declinante Iglesias, o con una propria formazione. Avendo letto con attenzione il saggio, l’idea che mi sono fatto è che la Colau non sia tipa da accettare un soggetto politico fondato da altri, così come non ha mai accettato candidature in formazioni esistenti, e che dunque l’eventuale decollo potrebbe avvenire solo con un suo partito, magari utilizzando come base la rete di “città ribelli” che si è venuta a creare nella tarda primavera del 2015, quando anche Madrid, Saragozza e non solo hanno deciso lanciarsi nell’avventura movimentista, al fine di punire le malversazioni e i fallimenti dei due partiti che dal 1978, anno del varo della Costituzione spagnola, al 2015, ossia per trentasette anni, si sono alternati alla guida del Paese.
È quasi superfluo sottolineare quanto abbia influito, sulla dirompente ascesa di tutta la sinistra alternativa spagnola o, per usare il sottotitolo di un altro libro di Russo Spena, scritto in quel caso insieme a Matteo Pucciarelli di “Repubblica”, della “sinistra spagnola oltre la sinistra”, è superfluo mettere in risalto che nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza esperienze quali l’acampada del maggio 2011 alla Puerta del Sol di Madrid e movimenti come il 15M e Juventud Sin Futuro, i quali hanno provocato la conclusione anticipata della carriera politica del socialista Zapatero, un tempo icona della sinistra europea e anche di quella di casa nostra.
È inutile sottolineare anche l’importanza delle nuove generazioni e l’età media relativamente molto bassa degli eletti di Barcelona en Comú e dello stesso Podemos, in quanto è sotto gli occhi di tutti quanto sia marcata la caratteristica generazionale in formazioni di questo tipo.
Ciò che, invece, è interessante rilevare, e Russo Spena e Forti lo fanno al meglio, è come la Colau sia stata capace di riprendere le grandi esperienze politiche e civili del passato, di una città che, a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, fu ribattezzata la Rosa de Foc (la rosa di fuoco) per via del forte radicamento anarchico e dei sentimenti ribelli insiti in un contesto da sempre caratterizzato da un forte senso di autonomia e di giustizia sociale, e di farne il propulsore della sua rivoluzione gentile, della sua spinta innovativa, della sua carica alternativa e convincente, basata su un carisma personale probabilmente superiore a quello dello stesso Iglesias.
Una donna perfettamente inserita nella sua realtà locale e capace di andare oltre, di ampliare i propri confini e i propri orizzonti; una donna coraggiosa e proiettata verso il futuro, in grado di resistere alle non poche, e magistralmente documentate, frizioni che pure hanno contraddistinto la sua esperienza e le fasi più calde del processo di definizione del progetto; una donna che riesce a governare pur avendo a disposizione undici consiglieri su quaranta e, infine, una donna che ha saputo coniugare davvero piazza e palazzo, protesta e proposta, rivolta e capacità di sintesi, senza nascondersi alcuna difficoltà e senza sottovalutare gli scricchiolii, le incomprensioni e i fisiologici segnali di insofferenza provenienti da mondi che per lungo tempo sono stati i suoi e con i quali adesso è chiamata a rapportarsi in un’altra veste.
Può essere un esempio per la sinistra italiana, oggi in ginocchio ma un tempo faro per la sinistra degli altri paesi, tanto che sia Tsipras sia Iglesias sia la stessa Colau dicono di essersi ispirati al pensiero dei nostri intellettuali di riferimento e al nostro modello organizzativo, fino a vent’anni fa effettivamente invidiabile? Diciamo di sì, a patto di rendersi conto che il nostro compito non dev’essere quello di costruire la Colau italiana per coprire le magagne del presente, ossia di prendere una figurina e servirsene per nascondere le divisioni e le pecche di soggetti politici oggettivamente inservibili e fuori dal tempo e dalla storia, bensì quello di studiare le sue battaglie nel grembo della società e ispirarci ad esse per ricostruire quella “relazione sentimentale” col popolo senza la quale il movimentismo è sterile e l’azione di governo impossibile.