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(73/ma Mostra del Cinema Venezia) Un leone (sin) troppo “artistico”. Un bilancio a fine kermesse

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Non ci si dovrebbero mai aspettare decisioni troppo sensate dalle giurie dei vari Festival del Cinema sparsi per il mondo, tuttavia, dopo il buon lavoro dei giurati di Cannes 2016 (con l’eccezione del Prix d’interprétation féminine assegnato a vanvera, mentre sarebbe spettato di diritto a Kristen Stewart per “The personal shopper” o Emma Suàrez per “Julieta”), si sperava che la migliore Mostra di Venezia degli ultimi anni producesse un verdetto altrettanto sorprendente.

Sorprendente senza dubbio, però in negativo. Chissà per quale perversione i premi vengono per lo più elargiti a pellicole impervie e punitive dalla durata spesso nociva alla salute mentale umana (a questi criteri risponde il Leone d’Oro a “The woman who left”, 226 minuti di inquadrature fisse) che, nonostante onorificenze e critiche positive, verranno visti da un numero assai ridotto di spettatori, e non potranno quindi assolvere il compito che dovrebbe porsi qualsiasi film, cioè agire su colui che guarda, farlo uscire dalla sala almeno un po’ diverso. L’equivoco di fondo che da sempre produce effetti esiziali è quello di “arte cinematografica”. Si dimentica troppo spesso che il cinema è certamente un’arte, ma popolare. La sua funzione non è soltanto quella di produrre opere da esporre al MoMa di New York, ma anche film dotati di un livello di fruibilità accettabile. Non si tratta di installazioni artistiche, bensì di materia viva, pulsante.

Passiamo comunque a ricapitolare gli altri premi. Benissimo il “Mastroianni” a Paula Beer per il sincero e mai banale “Frantz” di Ozon (che avrebbe meritato più considerazione), una giovane attrice dalle mille sfumature espressive. Deplorevoli il Premio Speciale della Giuria al delirio trash di “The bad batch” e il Leone d’Argento a “La regiòn salvaje”, il cui protagonista è un extraterrestre dai tentacoli fallici e alquanto lussuriosi. Poteva essere meglio devoluto l’altro Leone d’Argento, consegnato a “Paradise” di Konchalovsky, ennesimo, dignitoso omaggio alla Shoah.

Il premio per la sceneggiatura a “Jackie” (perché non a Derek Cianfrance per la travolgente partitura di “The light between oceans”?) pare più che altro un trampolino di lancio per la notte degli Oscar, così come la Coppa Volpi alla simpatica Emma Stone (per quella fuoriserie costruita in vista degli Academy Awards che è “La la land”). Coppa Volpi che giurati meno afflitti da problemi di vista avrebbero assegnato, per manifesta superiorità, ad Alicia Vikander.

Meno scandalosa la Coppa Volpi maschile al bravo Oscar Martinez per il film argentino “El ciudadano ilustre”, però resta il rimpianto per la prova aspra e dolente, efficacissima, di Jake Gyllenhaal.

Assolutamente meritato il Gran Premio della Giuria a “Nocturnal Animals” di Tom Ford. Si tratta anzi del minimo sindacale per il film più originale della Mostra, un sofisticato e avvincente thriller metacinematografico, un labirinto dove muoiono anime e corpi e, alla fine, i fantasmi decidono di scomparire dopo una vendetta letteraria.

L’amarezza più grande deriva dall’esclusione di quella formidabile opera iniziatica che è “Voyage of Time” di Malick, con il determinante contributo monodico di Cate Blanchett. Film complesso, ma capace di coinvolgere a vari livelli. Se verrà distribuito troverà sicuramente degli estimatori, si presume più numerosi e attenti di coloro che andranno a vedere gli inqualificabili “The bad batch” e “La regiòn salvaje”.

luciatempestini0@gmail.com


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