(73/ma Mostra del Cinema Venezia). Un dio troppo umano

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Premettendo che recensire quest’opera iniziatica e inclassificabile di Malick, far rivivere lo splendore che la abita, appare come un’impresa assolutamente impossibile, è tuttavia necessario raccoglierne almeno l’eco e cercare di trasmetterlo. Nel buio assoluto dello schermo si eleva una Voce. Profonda, né maschile né femminile, nitida; sembra sorgere da un luogo remoto, venire da un tempo che precede ogni elemento conosciuto. C’è qualcosa nel tono che somiglia a un controllato smarrimento. Invoca la Madre, la cerca: Oh, Mother/Where are you?

In pochi minuti, sulle parole pronunciate dalla Voce si produce un’inflazione cosmica e nell’oscurità si forma un plasma di quark e gluoni e di tutte le altre particelle elementari, meravigliosi ricami multicolori nello spazio ancora informe, che si combinano per dare vita a protoni e neutroni.

Ma cosa rappresenta, chi è, questa Voce che evoca e attraversa ogni immagine? Un dio poeta, ignaro di sé, che invoca se stesso, che percepisce la propria creazione come qualcosa di esterno, come una partenogenesi originata da una forza che sembra essergli (o esserle) sconosciuta e di cui si meraviglia? Un dio pieno di domande senza risposta che per esistere ha bisogno della Natura da lui stesso creata, e dell’uomo?

Mentre la Voce, Creatore e al tempo stesso Creatura primigenia e indistinta, prosegue nella sua ipnotica monodia (Dove sei?/Oh, Madre/Fiamma inestinguibile/Indefinita come una nuvola/ Nascosta in ogni cosa/Tu rimani dove sei/Tu, troppo grande per vedere/Nascita eterna/Ti divori per risorgere in forme sempre diverse/Ascolta la mia voce/Mi abbandonerai?/E’ stato l’amore a crearmi?/A te tutto rifluisce/La falena, la fiamma, l’amica e la straniera/Come posso raggiungerti, Bene al quale ogni cosa aspira? Al di là del Tempo, al di là della Tristezza) – e interrogandosi sulla propria natura o essenza e sulle sensazioni primarie che avverte, inizia a nominare le Cose facendole nello stesso istante esistere per la prima volta: Luce, OscuritàSete – le reazioni fotochimiche provocate dalla radioattività e dalla temperatura elevata formano composti chimici che, accumulati negli oceani, danno origine all’antenato della cellula, primo passo verso i batteri, poi alle forme di vita larvali e, molto più tardi, alla fauna ittica preistorica, affascinante nella sua fantasiosa mostruosità. Alla fine, fa la sua apparizione l’Uomo, che scopre la propria immagine specchiandosi nell’acqua.

E’ indubbio che la singolarità di quest’opera (cui una giuria illuminata e coraggiosa dovrebbe assegnare un premio importante) dipende molto dalla potenza quasi sciamanica dell’apporto vocale di Cate Blanchett. E’ lei a farci sentire nella carne le percezioni endogene di questo Dio così umano da non riconoscersi tale. Percezioni che si materializzano in immagini straordinarie di vulcanismi, temporali, eruzioni laviche, calore, formazione degli oceani, raffreddamento del pianeta, lenti movimenti d’innalzamento o abbassamento di zone della superficie terrestre, causati da assestamenti di masse o glaciazioni. E ancora, la pressione tangenziale crescente sugli accumuli di sedimenti, che agisce fino a sollevarli, deformarli, ripiegarli fino a creare (insieme alle intrusioni di magma) le catene montuose.

C’è una poesia nella materia che tende a coincidere con la metafisica.

luciatempestini0@gmail.com


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