“Des hommes et des Dieux” è un piccolo film prezioso, terso ed umanissimo, del 2010, che racconta una vicenda quasi dimenticata. Nel 1996, durante la guerra civile in Algeria, nel monastero di Tibhirine, otto monaci cistercensi di origine francese, che avevano fatto il voto del silenzio secondo la regola trappista, vengono trucidati. Non facevano proselitismo, pregavano e curavano chiunque chiedesse loro aiuto, buoni e cattivi. Avrebbero potuto andarsene, come volevano le autorità algerine e i gruppi islamici estremisti, ma decidono di restare per continuare ad aiutare la popolazione e testimoniare il loro amore per la vita e la loro fede in Cristo. Inizia tutto da quelle parti, ma abbiamo fatto finta di niente. Quei monaci, probabilmente, rassomigliano a padre Jacques Hamel, che a Saint-Etienne-du-Rouvray, vicino a Rouen, testimoniava concretamente il suo amore per il prossimo ed è stato ucciso nella sua chiesa, a 86 anni, da due assassini ricolmi di feroce stupidità.
“Possiamo ascoltare in questo tempo l’invito di Dio –aveva scritto pochi mesi prima di morire- a prendere cura di questo mondo, per renderlo, là dove viviamo, più caloroso, più umano, più fraterno”.
Allora, se da una parte ha ragione Papa Francesco quando dice che “il mondo è in guerra, ma non di religione”, dall’altra non si può negare che la risposta del mondo islamico francese, e non solo, si è mobilitata in modo potente e significativo solo dopo la morte di padre Jacques Hamel.
La scelta di andare a pregare in chiesa, tutti insieme, cristiani e mussulmani e forse anche ebrei e laici, e poi di negare la sepoltura a uno degli assassini per “non sporcare l’Islam” è –finalmente- un segnale forte, concreto e senza equivoci e forse riuscirà a raggiungere le coscienze di tanti, senza distinzione di religioni e Dei.
Forse la morte di un vecchio prete in un luogo consacrato è riuscita a scuotere la comunità mussulmana francese e a comunicare questo orrore di più e meglio dei tanti morti innocenti, da Nizza a Monaco, Parigi, Bruxelles.
Adesso, per la prima volta, la comunità mussulmana francese ed europea potrebbe, forse senza saperlo, aprire un dialogo con Illuminismo e riprendere la lotta di Voltaire contro superstizione e fanatismo, perché la laicità, in Europa, nasce proprio dalla tolleranza che i philosophes chiesero alle religioni –cristiane- in guerra da secoli. Qualche iman, finalmente, potrebbe spiegare agli assassini pseudoconvertiti che non avranno sepoltura religiosa, che hanno sporcato l’Islam e che non c’è alcun invitante paradiso che gli attende.
I mass media, da parte loro, anche se non possono assecondare la regola del silenzio dei frati trappisti e l’esempio di Francesco ad Auschwitz, potrebbero evitare l’ingordigia di commenti prima di conoscere frammenti di realtà, la ridondanza, l’enfasi guerriera che piace tanto ai jihadisti. Potrebbero evitare di descriverli come “soldati di Allah” o come “lupi solitari”, perché quasi sempre fanno parte di qualche oscura rete, piccola o grande o non farli vedere travestiti da Rambo o quando giurano fedeltà a questo o a quello. Per essere informati possiamo accontentarci di qualche foto segnaletica e cercare di capire quello che spesso sono: disadattati, giovani senza cultura e religione, alla ricerca di una identità dispersa perché non di rado hanno un cervello pari a un pericolosissimo “posacenere vuoto”.
Allora, anche se l’orrore non è finito, c’è la possibilità o la speranza che ci si possa “prendere cura di questo mondo, per renderlo, là dove viviamo, più caloroso, più umano, più fraterno”. Per gli uomini, con o senza Dei.
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