C’è un tempo per le lacrime e uno per le polemiche? La domanda sorge spontanea all’indomani degli appelli e dei cinguettii sui social network di leader politici ed esponenti delle istituzioni che a poche ore dal sisma invitavano giornali e tv al rispetto dei morti. Appello che molti media tranne le solite sparute eccezioni, hanno subito raccolto quando, accorsi sul luogo delle tragedie, hanno rivolto come al solito ai familiari delle vittime le immancabili e “innocue” (nonché imbarazzanti) domande: “Cosa prova in questo momento?” “Le mancano già i suoi cari appena perduti?”…
Ad oltre ventiquattro ore dalla scossa più pesante che ha fermato l’orologio di Amatrice alle 3.36 del 24 agosto ci domandiamo se a chi fa informazione oggi sia consentito, accanto alla naturale commozione, porre interrogativi e domande altrettanto naturali e ineludibili, denunciare i mancati investimenti per la messa in sicurezza di case scuole ed ospedali, la scarsa attività di prevenzione, gli eventuali permessi e condoni facili…
E va fatto proprio adesso, quando tutta l’attenzione è concentrata sulla tragedia dell’Italia centrale e non domani quando si spegneranno i riflettori. E prima che si cominci a ragionare di ricostruzione per evitare speculazioni, tangenti e appalti truccati, malaffare e infiltrazioni della criminalità organizzata com’è successo con l’Aquila.
Il terremoto è un evento imprevedibile ma le vittime non sono quasi mai una tragica fatalità. E 250 morti non si rispettano solo con il silenzio, le lacrime e la commozione ma anche e soprattutto con l’indignazione e la sete di verità di chi non accetta che un edificio possa sbriciolarsi per una scossa che altrove lo avrebbe fatto solo vacillare. Un’informazione che scavi a fondo sulle responsabilità è il miglior tributo che si può rivolgere alle vittime e ai loro familiari.
E per evitare di piangere in futuro nuove lacrime amare.