La legislazione urbanistica e quella antisismica nel secondo dopoguerra (anche dopo il terremoto di Messina del 1908) come quella antimafia, è stata quasi sempre approntata come risposta all’emergenza. Speriamo che da oggi si cambi registro e si elabori una politica di ricostruzione e di prevenzione che veda oltre il dramma del disastro. La frana di Agrigento del 1966 produsse la legge-ponte (cd Mancini) la quale modificò la legge urbanistica del 1942 rendendo obbligatorio in tutto il territorio nazionale la licenza edilizia per edificare in aree preliminarmente urbanizzata. La legge Mancini (765/1967) riprese alcune proposte dalla riforma urbanistica avanzata, ma non accettata, nel 1962 dal democristiano di sinistra Fiorentino Sullo che per questo non fu riconfermato ministro. Anche il socialista Lauricella nel 1971 e il repubblicano Bucalossi nel 1977, entrambi ministri dei lavori pubblici, utilizzarono spunti della proposta di Sullo.
Il terremoto del gennaio 1968 che distrusse i comuni del Belice generò la legge 64 del 1974, utilizzata anche per la ricostruzione del Friuli Venezia Giulia colpito dal terremoto nel 1976, dell’Irpinia nel 1980, del Molise e della Puglia nel 2002 che a loro volta generarono la classificazione di tutto il territorio nazionale in quattro zone a rischio sismico (alta, media, bassa, più un quarto a discrezione delle singole Regioni – ordinanza ministeriale 3274/2003).
Ordunque le leggi sono state varate e adattate in base alle nuove conoscenze scientifiche, è stato perfezionato e potenziato il sistema della protezione civile, si è continuato a predicare sulla necessità di prevenire gli eventi catastrofici (terremoti, alluvioni, dissesto idrogeologico ecc…) con una politica ambientale ed economica di cura del territorio – dall’eliminazione della cementificazione dei corsi d’acqua all’abbandono dell’agricoltura dei territori montani e alto collinari; dalla rinaturalizzazione del territorio alla salvaguardia delle biodiversità agroalimentari e ambientali.
Eppure dopo tutto ciò, gli eventi continuano a sorprenderci. Le vittime innocenti di alluvioni e terremoti suscitano indignazione e commozione, promesse di pianificare la prevenzione e l’impegno a una rapida ricostruzione. Passata l’attenzione mediatica dovremo verificare se anche stavolta gli impegni assunti dal Governo, dalle alte istituzioni dello Stato e da tutte le forze politiche si concretizzeranno in azioni di finanziamento della ricostruzione e della prevenzione in tutto il territorio nazionale. È stato calcolato che dal terremoto del Belice a quello dell’Emilia sono stati spesi ben 121 miliardi solo per la ricostruzione (peraltro ancora non completata), senza calcolare i danni economici e collaterali.
Gli interventi di prevenzione avrebbero senz’altro ridotto i danni. Ma la programmazione urbanistica, la ricostruzione, la prevenzione devono essere sottratte alle mire speculative e corruttive di gruppi politico-criminosi mafiosi.
Certamente la situazione organizzativa degli aiuti è notevolmente migliorata. Ricordo perfettamente come abbiamo vissuto la sciagura del Belice. Ero giovane consigliere comunale a Camporeale e responsabile di zona del Pci. Solo nella tarda mattinata filtrarono le prime notizie sull’entità dei danni e delle vittime del terremoto registrato nella notte tra il 24 e il 25 gennaio del 1968. Con Pio La Torre, allora segretario della federazione del Pci di Palermo, decidemmo di andare verso i comuni della Valle Jato limitrofi al Belice, quando arrivammo a S.Giuseppe Jato dalle migliaia di profughi terrorizzati apprendemmo delle distruzioni; allora decidemmo che io andassi a Camporeale per verificare le vere entità dei danni e che Pio tornasse a Palermo per organizzare i primi soccorsi. I panificatori di Palermo, in poche ore, rispondendo all’appello del loro mitico organizzatore della Cgil, produssero pane da portare ai terremotati, mentre semplici cittadini, offrirono le prime coperte per riparare i sopravvissuti dai rigori invernali. Furono i primi soccorsi, quelli pubblici arrivarono dopo qualche settimana scontando inesperienza e disorganizzazione burocratica. Avvenne così anche per il terremoto in Irpinia nel 1980 e per caso Pio, in quel tempo, nella segreteria nazionale del Pci, si trovò a organizzare i primi soccorsi volontari nazionali, forte dell’esperienza del Belice. Solo l’indignazione del Presidente Pertini, dopo qualche settimana in visita nell’Irpinia, scomodò un intervento pubblico organizzato. Ma l’esperienza della ricostruzione ci insegna anche come il cinismo criminale dei gruppi di speculatori in combutta con vari poteri politico-mafiosi ha sempre saputo approfittare delle sciagure.
Su quella del Belice si saldò l’alleanza tra i costruttori catanesi e i gruppi politico-mafiosi della Sicilia occidentale, essi arrivarono a controllare la programmazione delle grandi opere, mentre i cittadini languirono per decenni nelle baraccopoli. Solo dopo il decentramento decisionale ai comuni i cittadini cominciarono a vedere le prime case sia nel Belice così come in Irpinia e ora a L’Aquila.
Tutto ciò non è nuovo, riepilogarlo serve a istituire subito procedure democratiche concertate, snelle e controllate in tempo reale, sottratti all’ingordigia dei gruppi speculatori, come hanno già proposto il Procuratore antimafia e il Presidente dell’Anac e lo stesso Governo che per dare corpo al piano nazionale di prevenzione antisismica deve reperire le risorse necessarie da subito e per i prossimi anni.
Se ciò avverrà il sacrificio delle vittime non sarà stato dimenticato e una nuova politica territoriale e urbanistica potrà contribuire alla ricrescita del Paese. Pianificare e programmare non significa privarsi dell’apporto dei privati ma governarlo al servizio dell’interesse pubblico. Impedire gli sprechi e la corruzione, le infiltrazioni clientelari e mafiose farà risparmiare risorse, potenzierà lo sviluppo e la democrazia del Paese.