“Oggi piangiamo Ali, ma in cinque anni in Siria sono morte decine di migliaia di bambini. E’ una mattanza che solo noi cittadini possiamo fermare, chiedendo la pace a chi ci governa”. Il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini, commenta così, parlando con Laurence Figà-Talamanca dell’Ansa, la morte di Ali, il fratellino di Omran Daqneesh – diventato suo malgrado simbolo della tragedia di Aleppo -, per le ferite riportate in un bombardamento. “L’anno scorso abbiamo pianto davanti alla foto di Aylan, oggi davanti a quella di Omran. Ma come ogni anno, alla fine di agosto, il nostro sguardo sarà rivolto altrove, al referendum costituzionale, al campionato. Basta con l’indignazione a intermittenza, dobbiamo tornare nelle piazze a chiedere pace, perché in questa guerra non ci sono buoni o cattivi. Sono tutti responsabili”, aggiunge Iacomini, domandandosi dove sono finite le bandiere della pace “che non abbiamo più il coraggio di esporre alle finestre”. Iacomini chiama in causa anche la politica italiana. “Invece di fare tour per spiegare il referendum, o girare l’Italia in motocicletta, o lanciare messaggi di una presunta invasione, perché Renzi, Di Maio o Salvini non girano le piazze per spiegare cosa succede in Siria?”. “Mi si dice che si tratta di geopolitica, ma di fronte ai bambini che muoiono la geopolitica non conta più”, afferma ancora, snocciolando dati agghiaccianti. Solo fino al 2013, “quando come Onu abbiamo smesso di contarli”, in Siria erano morti “11 mila bambini”, “oggi pensiamo che la cifra sia almeno triplicata”. Non si può più rimanere in un “silenzio colpevole”, prosegue Iacomini, che lancia un appello anche all’ “intellighenzia italiana, “da Roberto Saviano a Lorenzo Cherubini”. “Finora non ho sentito una parola, un editoriale, una canzone sui bambini morti in Siria. Mi aspetto che Jovanotti, Ligabue e Piero Pelù tornino a cantare ‘Il mio nome è mai più'”.