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Referendum, Renzi smorza

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La stella elettorale di Matteo Renzi è in discesa. Il presidente del Consiglio in un anno ha già collezionato due smacchi: prima non è andato bene nel voto in sette regioni nel maggio 2015, poi  ha accusato la batosta nelle comunali del giugno scorso. Ora vuole scongiurare il rischio di una terza sconfitta al referendum del prossimo autunno sulla riforma costituzionale del governo. Riflette su come correre ai ripari per risalire la sua stella e scongiurare il pericolo di una disfatta. Così ha adottato una nuova tattica.

Il mutamento è stato improvviso, è avvenuto in poco più di un mese. Renzi è passato da toni bellicosi a distesi. Sta aggiustando il tiro: in gioco c’è la decisiva sfida del referendum sulla revisione del bicameralismo paritario, la riforma costituzionale strettamente legata all’Italicum, la nuova legge elettorale per le politiche. Sia la riforma costituzionale  sia l’Italicum sono criticati duramente dalle opposizioni e dalle sinistre del Pd. Il presidente del Consiglio e segretario democratico, quando nello scorso gennaio la Camera votò definitivamente la riforma costituzionale, lanciò la palla con un tiro fortissimo e lungo verso la porta: fece coincidere l’esito del referendum con la sorte dello stesso governo e di se stesso. Fu perentorio: «Non abbiamo timore che il referendum sia personalizzato»; «se perdo vado a casa. Punto». No a tutte le richieste delle minoranze del Pd, dei centristi della maggioranza e delle opposizioni di modificare la legge elettorale:  «Non cambio l’Italicum».

Così si è ritrovato praticamente da solo davanti a tutte le critiche, trasformando il referendum costituzionale in uno su di sé. Le accuse di arroganza sono piovute da tutte le parti. Lui alla fine non le ha respinte al mittente: «È vero, lo ammetto, è un limite che ho».

Ma alla fine il cambiamento è arrivato. Lo spartiacque sono state le elezioni comunali dello scorso giugno, perse dal Pd e vinte dal M5S. Nei giorni della campagna elettorale il premier si è sbilanciato parlando più della necessità della vittoria del “sì” al referendum costituzionale del prossimo autunno che dei problemi del rinnovo dei sindaci. E  ha parlato più  del provvedimento come passo fondamentale del suo mandato di presidente del Consiglio, che dei contenuti della riforma che riduce i compiti e il numero dei senatori. Ne ha fatto un voto su di sé e ha perso le elezioni amministrative. Giorgio Napolitano, che pure ha sostenuto il suo governo e il superamento dei bicameralismo paritario, gli ha rimproverato la personalizzazione data al referendum. L’ex presidente della Repubblica l’ha bollata come “un errore” e l’ha invitato a cambiare rotta,  parlando di contenuti, rendendo operativa la riforma.

Così è maturata la svolta. Renzi nelle ultime settimane ha evitato di parlare del referendum per recuperare consensi nell’opinione pubblica. Ha rettificato il tiro: personalizzare il referendum? «Altri hanno interesse a farlo». Ha anche aperto un piccolo spiraglio a modificare l’Italicum, dopo il voto del referendum, se emergerà una maggioranza adeguata: «Chi arriva primo vince. Se il Parlamento è in grado di fare un’altra legge, si accomodino». L’anno scorso Renzi, invece, forte del Pd vincitore delle elezioni europee del 2014 con il 40,8% dei voti, aveva voluto il premio alla lista e lo aveva difeso per non cedere al “ricatto dei partitini”.

Di qui lo scontro permanente anche con le minoranze del Pd, in gran parte critiche verso l’Italicum e la riforma costituzionale. Pier Luigi Bersani ha apprezzato la novità dei toni dialoganti. L’ex segretario del Pd ha bocciato ogni ipotesi di dimissioni di Renzi da presidente del Consiglio in caso di sconfitta al referendum: «Se al referendum vincesse il no non accadrebbe nulla, sarebbe giusto che Renzi restasse al suo posto». Bersani ha confermato la necessità di modificare l’Italicum: «Se non si cambia rotta, il rischio è che il Pd vada a sbattere». Così si è socchiusa la porta a rivedere la legge elettorale. Le sinistre del Pd tengono molto a una correzione: vogliono assegnare il premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista che vince le elezioni. È la stessa richiesta dei partiti centristi della maggioranza di governo e dell’opposizione di centrodestra.

Non è un caso. Con il premio di maggioranza alla lista le minoranze del Pd, i partiti minori e Silvio Berlusconi avrebbero più possibilità di recuperare un ruolo politico. Parallelamente aumenta la voglia di ripristinare il sistema elettorale proporzionale al posto del maggioritario.

Cresce anche il desiderio di cancellare il ballottaggio al secondo turno. Adesso anche diversi renziani guardano con interesse a rimettere mano alla legge elettorale: vorrebbero o il premio alla coalizione o l’eliminazione dell’eventuale ballottaggio (scatterebbe se nessuna lista conquistasse al primo turno almeno il 40% dei voti per ottenere il premio). La vittoria dei cinquestelle nei ballottaggi alle comunali sta spingendo per abolire questo meccanismo. Il M5S, invece, pur criticando l’Italicum come incostituzionale, non vuole modifiche perché il ballottaggio lo premia. Ma siamo ancora alla pretattica. Renzi è affezionato al premio di maggioranza alla lista e intanto deve portare a casa in autunno il “sì” al referendum.

Le opposizioni e le minoranze del Pd, nel “combinato disposto” tra riforma costituzionale e Italicum, vedono “una deriva autoritaria” e il rischio di “regime”, perché troppi poteri verrebbero concentrati nelle mani del premier senza i relativi contrappesi democratici. Il presidente del Consiglio ha definito ridicole le accuse di “dittatura”. Ha difeso le riforme dirette a “semplificare” il processo legislativo, ad evitare le sovrapposizioni di competenze tra Stato e Regioni ed ha negato una maggiore concentrazione di potere nelle mani del presidente del Consiglio

Certo cambiare l’Italicum per lui non sarà una operazione indolore per due motivi: 1) non è semplice fare la riforma della riforma dopo appena un anno dall’approvazione della legge da parte del Parlamento; 2) il nuovo sistema elettorale, imperniato sul premio di maggioranza alla lista con più voti e sull’eventuale ballottaggio, racchiude la filosofia renziana di assicurare all’Italia immediatamente un governo con una maggioranza autosufficiente, dopo le elezioni politiche, senza ricorrere agli “inciuci” degli esecutivi di grande coalizione. Infine c’è un terzo motivo: Renzi non è più il presidente del Consiglio vincente che nel maggio del 2014 aveva fatto trionfare il Pd con il 40,8% dei voti.


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