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Rai, perché questo gruppo dirigente può solo rovinarla

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Il consigliere della Rai Guelfo Guelfi, che appare un tipico toscano burbero e ironico, molto verace nel rispondere al collega Paolo Conti, conferma esattamente ciò che molti, a partire da FNSI e Usigrai, sostengono. Guelfi, infatti, non contesta il fatto che si sia trattato di una manovra politica, ma fornisce due controdeduzioni alle critiche, soprattutto a quelle provenienti da una larga fetta del PD, che sono molto interessanti per un’analisi complessiva della questione Rai.
Dice Guelfi che non c’è stato un editto bulgaro e che con Bianca Berlinguer (Marcello Masi e Flavio Mucciante evidentemente non sono neppure degni di citazione…) si è operato togliendole la direzione del TG3, ma dandole uno spazio in cui – udite udite- potrà perfino scegliere i suoi autori e sostanzialmente potrà dire quello che vuole. Non aggiunge, ma sospettiamo che un po’ lo pensi, che tanto dalle 18,30 alle 19 il pubblico, notoriamente adulto e in attività quale è quello della terza rete, difficilmente sarà molto numeroso…in quella fascia, purtroppo, hanno fallito altri conduttori importanti come Giovanni Floris, ma speriamo che non vada così. E certamente c’è l’incognita Santoro, che al momento è, appunto, una incognita.

Torniamo alle nomine. E’ straordinario che non si neghi in alcun modo che comunque la Berlinguer andava rimossa e non è che si spieghi con qualche motivo che magari in altri tempi sarebbe pure stato addotto, tipo ha perso ascolti, la redazione l’ha sfiduciata, qualcosa di professionale insomma, no si dice che però lei non è stata accantonata ma lavorerà e avrà un programma tutto suo.
Insomma, per l’ex spin doctor del presidente del consiglio, il problema non esiste, anzi, forse la Berlinguer è stata promossa, il metodo e il motivo non contano nulla. Non la pensa così il sottosegretario Giacomelli, che ha la delega sulla Rai.

Ma c’è un’altra motivazione di Guelfi che merita attenzione: lui sottolinea più volte che il problema in ogni caso non si pone perché il consiglio di amministrazione ha votato 6 a 3. E in questo caso parla con chiarezza a tutto il PD, e non ha torto. Dice infatti Guelfi che c’è stata un po’ di discussione in cda, ma alla fine Borioni e Siddi hanno votato per le scelte del direttore generale. I loro voti contrari avrebbero ribaltato la situazione. E questo è un dato di fatto, rigorosamente politico e non archiviabile.

Incredibilmente assente dalla stampa nazionale il dettaglio che per la prima volta in 30 anni le tre reti generaliste, intendo dire Rai Uno e il TG1, Rai Due e il TG2, Rai Tre e il TG3, hanno sei direttori su sei che rispondono alla presidenza del consiglio, o se vogliamo essere di manica più larga, al governo.
Lo so benissimo che in tanti abbiamo combattuto, perché veniva trattata come un ghetto, la mitica “riserva indiana” della Rete Tre e del TG3 (di cui ho l’orgoglio di aver fatto parte), ma almeno quella riserva indiana anche Berlusconi alla fine non era riuscito a eliminarla.
E dobbiamo ovviamente ricordarci che ci sono altre testate televisive in mano a professionisti come Antonio Di Bella, uno dei migliori giornalisti della storia della Rai e che avrebbe potuto realizzare molti progetti di newsroom se al vertice interessasse razionalizzare l’offerta, e come Vincenzo Morgante alla TGR. E, ripeto, mi sto occupando solo della televisione. Ma il tema centrale rimane: sei reti generaliste senza traccia di pensiero alternativo. Tutto questo deciso ma non imposto dal solo direttore generale-amministratore delegato (come è avvenuto per i dirigenti le cui nomine non passano in cda), ma condiviso dal cda con i soli voti contrari di Freccero, Diaconale e Mazzuca. Il gruppo dirigente che dovrebbe attuare la riforma della Rai e la nuova convenzione con lo Stato, che dovrebbe arrivare in ottobre. Ed è questo l’aspetto più grave che pesa sul futuro del servizio pubblico.

Tutto questo non coinvolge la professionalità dei colleghi neo nominati. Anzi no, la coinvolge molto ma ne dovremo riparlare fra un po’ di mesi. Sappiamo bene che qualsiasi progetto viaggia sule gambe delle donne e degli uomini, figuriamoci un non-progetto. Dunque i nuovi direttori hanno tutta la possibilità di dimostrare che dei telegiornali generalisti non è stato creato un coro, ma ognuno è in grado di suonare una sua musica. Pluralista, trasparente, autonoma e con la schiena dritta. Se lo faranno magari piaceranno meno a chi li ha scelti, ma molto a quello che qualsiasi professionista del servizio pubblico dovrebbe considerare il suo unico editore: gli utenti che pagano il canone, cioè i cittadini italiani.


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