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Rai e terremoto: servizio pubblico a corrente alternata, quindi a rischio di corto circuito

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La TV del servizio pubblico ha imparato meglio a rappresentare la morte che a celebrare il lutto. Lo ha scritto Giorgio Simonelli, uno dei maggiori esperti di televisione in Italia mentre, nelle stesso ore, il presidente della Vigilanza accusava Vespa di aver parlato della ricostruzione come di un’occasione per rilanciare il PIL del nostro paese. Molte accuse, insomma, alla Tv di stato che ci ostiniamo a chiamare servizio pubblico seguendo più il nostro desiderio che la realtà.

Tuttavia non è giusto fare di tutta l’erba un fascio e quello che ha fatto in questi giorni tragici la TV della Rai non è affatto tutto da buttare. Anzitutto si sono veramente distinti i giornalisti delle testate, a partire da Rainews, che, come in occasione del terremoto de L’Aquila, ha dato per primo la notizia e sta gestendo con grande professionalità l’informazione dai luoghi della tragedia, sia per la velocità nel dare le notizie, sia per la compostezza delle interviste e l’analisi della situazione, in presenza di una concorrenza di Sky sempre più agguerrita.

Gli inviati dei Tg nazionali stanno facendo altrettanto bene il loro lavoro, sono su tutti gli argomenti e operano in un contesto reso spesso ancora più difficile dal moltiplicarsi dei servizi e dalla gestione degli interventi da parte dello studio e dei conduttori.

Il problema si è posto invece in modo evidente nelle reti e in modo preoccupante nella rete Uno, la cosiddetta “ammiraglia”. Il passaggio dall’informazione delle testate a quello dei talk è risultato imbarazzante. Meglio stendere un velo sulla retorica da tipica Tv del dolore che tiene banco nel pomeriggio di Rai 1, che non posso che descrivere copiando Simonelli come “sconfinamento nel dolore fine a se stesso”. Si risente perfino la fatidica domanda “cosa ha provato in quel momento” e si è dovuto anche vedere un conduttore polemizzare con la protezione civile che cercava di spiegare che certi aiuti in questo momento non servono e creano ulteriori ostacoli. Da tralasciare anche la corsa ad essere i primi a far vedere un ritrovamento in diretta, quasi indifferenti al fatto che potrebbe essere il ritrovamento di una persona in vita oppure di un cadavere.

E poi “Porta a porta”. Il ragionamento sui lavori di ricostruzione e PIL, cioè fra terremoti e economia, è comunque difficile e sconsigliato da farsi a 24 ore dal disastro, ma in altri contesti è inevitabilmente un pezzo di analisi necessaria. Ma in TV conta moltissimo chi li fa questi ragionamenti, le parole che usa e l’immagine e la credibilità che ha. E allora vi sembra possibile sentire Vespa pontificare di ricostruzione e economia a sette anni da quello stesso Vespa gran cerimoniere del grande “circo” e dell’indegna gestione del terremoto dell’Aquila da parte del governo Berlusconi? Dobbiamo continuare a sentire Vespa intervistare i possibili ricostruttori di oggi, omettendo la storia, cioè le terribili risate di imprenditori senza scrupoli di quella notte del 6 aprile 2009?

Se ancora oggi non c’è un nuovo conduttore da mettere in questi momenti a fare seriamente il suo lavoro e si continua a ricorrere solo all’intervistatore di Salvo Riina, allora questa cosiddetta nuova Rai è veramente messa male.

E veniamo alla parte addirittura incredibile della gestione dell’emergenza terremoto da parte della Rai: il palinsesto. E in questo caso mi riferisco essenzialmente allo schizofrenico palinsesto di Rai 1. Primo giorno dopo il terremoto: praticamente una lunga diretta quasi ininterrotta dai paesi colpiti, scelta giusta. Il secondo giorno ricompare “Techetechete’” con il suo repertorio di canzoni, show, balletti e battute – anche se d’altri tempi – ma sparisce “Reazione a catena”, sostituito da uno dei soliti bei programmi di Alberto Angela, giustamente buoni per tutte le circostanze. Il terzo giorno, venerdi, quando già si sa che il sabato sarà lutto nazionale, riappare invece “Reazione a catena” pomeridiana (un programma registrato e a quanto si è visto anche in altri casi impossibile da modificare neppure per un’introduzione di pochi minuti), mentre la prevista versione serale viene sostituita da Don Matteo, il tutto senza mai una comprensibile spiegazione. Il sabato compare anche il nastrino a lutto (quello che Google ha in homepage dal giorno dopo il terremoto), la soppressione degli spot e dopo la giornata dedicata ai funerali va in onda il festival di Castrocaro, ovviamente un varietà. C’è un ragionamento dietro a tutto questo? Lo spettatore è portato a pensare di no, se ne ricava l’immagine di una rete senza né capo né coda e di una totale mancanza di “manico” nell’azienda.  Una specie di servizio pubblico a corrente alternata, e quindi a rischio di corto circuito.


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