Non uccide il terremoto, uccidono piuttosto le opere dell’uomo. Il vescovo di Rieti ha scelto Rousseau (vedi il Caffè del 26 agosto, “Sul terremoto..di Lisbona”), ha posto l’accento sul libero arbitrio e dunque sulla responsabilità piena degli uomini. Così Francesco vuole salvare la sua chiesa: liberandola da ogni ruolo di supplenza nei confronti del potere, facendone una voce libera che, in nome del divino che è poi l’umano dell’uomo, sia capace di dialogare con altre voci libere e di squarciare il velo delle ipocrisie che usavano scaricare sul fato o sulla volontà di dio quel che deriva invece da atti umani. Le parole dei telecronisti – per quel poco che ho ascoltato – stridevano con tale messaggio e spandevano, con toni “sobri”, il miele della retorica del dolore e della solidarietà. Ma quelle parole restano, come resta l’immagine di Mattarella e di Renzi “confusi” – così ha detto un cronista – tra la folla dei semplici cittadini. Corriere e Repubblica usano titolano “l’accusa del vescovo”. Insomma: tu l’hai detto, Pompili. Sei tu che ci rubi il mestiere.
I fondi spariti dalla ricostruzione. La Stampa denuncia: “Spesi in consulenze il 40% dei fondi destinati alle case crollate”. Sul Corriere Sergio Rizzo accusa “i professionisti della ricostruzione” e ricorda i tempi dell’Aquila. Dietro le promesse roboanti del premier di allora (era Silvio Berlusconi), dietro l’immagine dei capi di stato e di governo che si riunirono a corte tra le macerie, si muovevano imprenditori sciacalli, lesti a definire quella tragedia “una botta di culo”, c’era “l’intreccio, comune nei piccoli centri, tra geometri locali e politica”, c’era l’evidenza che “lavorano sempre gli stessi, tirano su muretti e palazzine e li riparano se crollano”. Insomma, “un sistema di illegalità diffusa”, come scrive sulla Stampa Gustavo Zagrebelsky: “È malato un paese.. in cui metà delle pagine dei giornali sono dedicate alle indagini di una procura della Repubblica, alla loro ampiezza e alla diffusione di illeciti e reati, che quasi sembrano costituire la normalità”. Eh no, L’Aquila non si tocca! E basta coi giudici. Il Giornale si ribella: “Indagano anche i morti”. “Tutti a caccia di colpevoli. Pm e giustiziasti contro i privati. All’Aquila ci furono 200 inchieste, 19 processi, poche condanne”. Una excusatio non petita che Zagrebelsky ha forse previsto: “Se un tocco di sarcasmo è consentito si può notare che i regimi corrotti di solito hanno una magistratura asservita: della corruzione si può bisbigliare, ma senza prove. L’Italia corrotta è incoerente, poiché mantiene una magistratura indipendente. E allora la corruzione viene fatta emergere ed è sotto gli occhi di tutti. Ma inutilmente, poiché l’ipocrisia protegge la corruzione”.
Apple deve restituire 13 miliardi, titola il Sole24Ore. Sia lode a Margrethe Vestager commissaria europea alla concorrenza, che ha osato sfidare il colosso di Cupertino. La vicenda è semplice: le multinazionali pretendono che i governi le ringraziano perché creano posti di lavoro (pochi), perché muovono le borse e contribuiscono al PIL. Dunque ritengono di non avere ulteriori doveri e in particolare di non essere tenuti a pagare le tasse se non dove più gli conviene e nella misura minore possibile. Può funzionare? Forse sì, ma solo se si smantella il welfare pubblico in ogni dove (sanità, scuola, trasporti, previdenza, assistenza, prevenzione sismica, tutela del territorio) e si affida la nostra vita quotidiana interamente all’iniziativa privata ed, eventualmente, a un welfare messo su dalle multinazionali. A rigore una contraddizione resterebbe perché le multinazionali wall street avranno comunque bisogno almeno della forza degli eserciti, che le difendano dagli attacchi dell’anti-globalizzazione (di questi tempi islamica). Si può fare, certo, ricorso a eserciti mercenari – ricordate i contractors delle guerre di Bush? – e alle multinazionali delle armi. Ma poi occorrerà socializzare quei costi, tutt’altro che indifferenti. Ma non voglio divagare. Il punto secondo me è che sia la tassa richiesta ora dall’Europa ad Apple, sia il blocco imposto al trattato di libero commercio, Ttip, testimoniano del contrasto che si è aperto (vedi Brexit) tra due idee entrambe di destra: Il nazionalismo protezionista e l’universalismo a misura della finanza e delle multinazionali. Mi chiedo con chi stia la sinistra. Quella che vedo, dà un colpo al cerchio e uno alla botte, strizza l’occhio, vivacchia.
Anche Macron lascia Hollande. Chi è Macron? Il ministro delle finanze voluto dal presidente, un uomo che avrebbe dovuto rappresentare la destra della sinistra, il liberista spinto di un governo gestito da un socialista della Terza Via, Emmanuel Valls, e guidato da un socialista compassionevole, cioè Hollande. Macron ha 38 anni, ritiene che destra e sinistra siano categorie ormai senza senso, che la democrazia dei partiti sia giurassica, che la politica abbia bisogno di uomini soli che si rapportino direttamente al popolo. E ha fondato un movimento che si chiama “En marche”. Bellissimo, modernissimo? “Fino a questo momento – osserva Marc Lazar su Repubblica – per vincere un’elezione c’è sempre stato bisogno di un partito: un semplice movimento potrà bastare?”. Dunque Lazar definisce Macron “avventurista” anche se ammette che “la bomba Macron è esplosa ed è forse il preannuncio di una vasta ricomposizione della scena politica francese”.