Sulla recente scorribanda sulla Rai ci sono state proteste delle opposizioni e pure la sinistra del partito democratico ha battuto un colpo –attraverso le dimissioni dei senatori Fornaro e Gotor dalla commissione parlamentare di vigilanza-. Oh Dio, rimane il dubbio che proprio nella seduta della commissione che ha preceduto la riunione del consiglio di amministrazione si poteva osare un po’ di più, visto che il presunto piano editoriale presentato dai vertici dell’azienda era solo un simulacro, se si scorrono quelli veri cui le imprese editoriali ci avevano abituato. Era lecito attendersi almeno qualche riferimento all’inattualità della divisione in reti e testate, tema tabù a causa del passato prepotere dei vecchi partiti di massa e così “sensibile” che chi ha provato a metterci mano sì è preso una bella scossa. Ma la memoria è labile, purtroppo, e di quelle storie nessuno si ricorda. La Rai era parzialmente uscita dal controllo politico con la legge del 1993 che attribuiva la nomina dei consiglieri ai presidenti della Camera e del Senato, così come una profonda ristrutturazione fu immaginata negli anni del centrosinistra ma venne bloccata dall’ostruzionismo delle destre e dal fuoco amico. E sì, perché il tema è trasversale; e i buoni e i cattivi si confondono spesso per il camaleontismo dilagante. Ecco, allora, la “notte prima degli esami” andava respinto al mittente il tutto. Il presidente Fico ha replicato in punta di regolamento. Tuttavia, da 5Stelle ci si aspettava un’interpretazione evolutiva e non statica delle vecchie bardature burocratiche. Ma qui siamo ai peccati veniali. Se giudichiamo l’operato del gruppo renziano, pur indebolito dai colpi inferti (ex post, naturalmente) dai cosiddetti “giovani turchi” (mai appellativo tanto inopportuno) e dal sottosegretario Giacomelli, entriamo in uno dei peggiori gironi dell’Inferno. Sbagliano di grosso coloro che asseriscono che non c’è niente di nuovo sotto il sole: la lottizzazione sarebbe eterna. No. Se le pratiche spartitorie del passato sono indifendibili, solo ora si è profilato il “Tg unico”. Le modalità con cui si è assoggettata l’informazione a Palazzo Chigi sono di rito tribale, al di sotto di ogni decenza. L’unico paragone che viene in mente è la notte dei lunghi coltelli della fine del 1980, quando l’avvento del cosiddetto Caf al governo (Andreotti, Craxi e Forlani) fu accompagnato dalla purga staliniana alla Rai. Ne fecero le spese –ad esempio- Mimmo Scarano, Massimo Fichera, Andrea Barbato e coloro che erano in odore di eresia. Siamo tornati lì. Con l’aggravante che l’attuale premier aveva rotto i cabasisi sul “fuori i partiti”, mentre all’epoca Dc e Psi almeno non infingevano. E con l’aggravante super del prossimo referendum sulla (contro)riforma della Costituzione, laddove la posta in gioco giustifica qualsiasi nefandezza. Non è vero, come sostiene qualcuno dei nominati? Si è proposto con Beppe Giulietti di mettere un cronometro nei titoli di coda, che renda noto il tempo del SI’ e quello del NO. Par condicio, allora. Chi l’accetta?
Voci di dentro polemiche non sono servite a nulla, però. Tanto la malattia è profonda. Sono notizie fresche l’eliminazione dell’intelligente programma di Mercalli sul clima, nonché il grottesco “editto” contro la brillante e capace scrittrice e intellettuale della satira Francesca Fornario. Che ha annunciato la fuga di necessità da Radio2. Povera radio, povero servizio pubblico, nelle mani di un novello “Dottor Stranamore”. Che non è neppure Peter Sellers.