Il recente terremoto ha messo in evidenza un limite normativo. La legge esclude la detrazione del 65% del costo di adeguamento antisismico per le seconde case, ben il 70% di quelle ubicate nei piccoli centri. Questa preclusione ha reso palese come la classificazione “seconde case” sia troppo generica. Da questa, dovrebbe essere distinta quella di “case di famiglia”, ovvero quelle che – benché non di residenza – rappresentino le proprie “radici”, per successione generazionale e con un tempo minimo di proprietà continuativo (50 anni?).
Con una tassazione intelligente e progressiva delle prime case di pregio, si potrebbero recuperare i fondi necessari ad esentare da imposte e ad attivare agevolazioni per le “case di famiglia”, soprattutto se situate in borghi a rischio abbandono, Come per esempio estendendo a queste abitazioni proprio la detrazione del 65% delle spese per l’adeguamento antisismico, ma anche per il risparmio energetico ed altri interventi conservativi.
Ora invece le case di famiglia nei paesi di origine curate sono poche e ci pensano dagli ultimi irriducibili discendenti affezionati, che pagano tasse e spese ingenti, pur di non separarsi da un pezzo della loro vita, dei loro luoghi, dai loro vecchi. Molte invece sono abbandonate o svendute, da chi non può permettersi il lusso dei ricordi, contribuendo così alla desertificazione delle piccole comunità, soprattutto nelle zone interne e montane.
Le norme per la ricostruzione potrebbero introdurre questo correttivo. Per salvare la bellezza dei nostri borghi dall’altro terremoto a bassa intensità, ma non meno distruttivo: l’incuria.
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