Interrompo per un momento l’angoscia per il terremoto, mentre gli angeli della polvere continuano a scavare, con le mani e con il cuore. Perché oggi per me (e per molti altri) non è un giorno qualsiasi: è il giorno della morte di Enzo Baldoni, dodici anni fa. Un amico appena conosciuto davanti al cratere di una granata ma così stretto da accompagnarlo da vicino negli ultimi giorni della sua vita geniale e pazzoide. Stava in Iraq, figuratevi, per un’autentica follia, quella di capire. Ci eravamo lasciati nella moschea di Kufa dandoci appuntamento al giorno dopo. Ma la mattina è stato rapito in quell’incrocio maledetto di Malmudyia, si sa da chi ma nessuno ha mai saputo perché. La notizia dell’uccisione, ancor prima della scadenza dell’ultimatum, arrivò attraverso una riga a scorrere su al Jazeera. E subito dopo la telefonata della Farnesina, in cerca di particolari. Troppe volte ne ho parlato, ogni anno scorro i ricordi in cerca di tracce ma la sua dolorosa fine è destinata a restare un mistero, come tanti. Stavolta ho riguardato tutte le foto fatte a Najaf quel giorno. Mi hanno lasciato solo un senso di profonda desolazione.
Proprio l’altro giorno sono passato casualmente per Cesi, il suo dolce paesino umbro proprio a ridosso del terremoto. E’ lì che adesso riposa sotto una lapide a forma di balena, dopo un funerale per niente festoso come aveva invece immaginato, parlando della morte
[26 agosto 2004] “Guardando il cielo stellato ho pensato che magari morirò anch’io in Mesopotamia, e che non me ne importa un baffo, tutto fa parte di un gigantesco divertente minestrone cosmico, e tanto vale affidarsi al vento, a questa brezza fresca da occidente e al tepore della Terra che mi riscalda il culo. L’indispensabile culo che, finora, mi ha sempre accompagnato”. (Enzo G. Baldoni)
Fosse vivo, ne sono certo, adesso starebbe anche lui a scavare tra le macerie. Di lui conservo tutto, soprattutto i testamenti che mi ha regalato, soprattutto uno che ho adottato in maniera totale: “Lasciamo che siano i fatti a parlare. Il resto sono chiacchiere e politica, da cui voglio tenermi lontano”. Da parte mia continuo con l’impegno assunto in una giornata di ordinaria violenza a Baghdad: di portare avanti i nostri “blog paralleli”, segno di un’immortalità almeno virtuale che anche gli amici della sua Zonker Zone continuano comunque a perpretare.
Cosa mi resta di lui, oltre al ricordo? Quest’anno l’ormai rituale vignetta di Lucrezia Colombo: ritrae su una gigantesca balena un piccolo gabbiano che m’illudo essere io, forse in memoria di quella luna e quella torre che ci hanno sempre accompagnato e unito. Poi un altro splendido ricordo di un grande artista, Mauro Biani. Infine un file con quelle foto inedite, confuse nella città di al Sadr, una terra arida, velenosa che ha visto il suo ultimo sguardo inguaribilmente curioso. Troppo poco forse per un reporter di razza. Ma mi basta.