Il 9 agosto un tribunale del Cairo ha rinviato per l’ennesima volta, al 6 settembre, il processo nei confronti di Mahmoud Abu Zeid, conosciuto come Shawkan.
Shakwan è detenuto nel complesso penitenziario di Tora, a sud del Cairo, dal 14 agosto 2013.
Quel giorno, le forze di sicurezza dispersero con estrema violenza il sit-in della Fratellanza musulmana in piazza Rabaa al-Adaweya, uccidendo oltre 600 persone, in uno dei giorni più bui della storia recente dell’Egitto. E quel giorno Shawkan era lì, a scattare foto per conto dell’agenzia londinese Demotix.
Il giornalismo non è un reato.
Ma al Cairo la pensano diversamente. Shawkan è infatti accusato di “adesione a un’organizzazione criminale”, “omicidio”, “tentato omicidio”, “partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane”, “ostacolo ai servizi pubblici”, “tentativo di rovesciare il governo attraverso l’uso della forza e della violenza, l’esibizione della forza e la minaccia della violenza”, “resistenza a pubblico ufficiale”, “ostacolo all’applicazione della legge” e “disturbo alla quiete pubblica”.
Se riconosciuto colpevole rischia la pena di morte.
Le condizioni di salute di Shawkan, che in prigione ha contratto l’epatite C, non sono buone ma per una ventina di volte le autorità egiziane hanno respinto le richieste di scarcerazione per motivi di salute.
Il 6 settembre, quando si terrà la nuova udienza, Shawkan sarà in carcere da tre anni e tre settimane, ben oltre il limite di due anni previsto dall’articolo 143 del codice di procedura penale per i reati più gravi.