Adesso ci sarà qualcuno che, per sminuire la gravità davvero unica del siluramento di Bianca Berlinguer dalla direzione del Tg3, dirà che in fondo la stessa giornalista si è aperta la strada grazie al cognome che porta. In realtà se c’è un professionista dei media che ha fatto la sua brava gavetta fra carta stampata e televisione senza appoggi di sorta, Bianca incarna perfettamente quel ruolo. Posso testimoniarlo perché ha cominciato la sua scuola dalle pagine di cronaca del “Messaggero”, firmando le prime cose (anche di cronaca mondana) in una rubrica inventata da un grande e severo maestro di giornalismo, Silvano Rizza. Si chiamava “La città” ed era una sorta di palestra dove giovani e giovanissimi cronisti (Bianca era ancora “matricola” all’Università) portavano delle idee e, se erano buone, le realizzavano, sempre in grande sintesi, con linguaggio chiaro e semplice. Un modo per farsi le ossa anche per altri media che richiedono concisione e senso del racconto.
Poi è passata alle prime esperienze televisive e via via, utilizzando doti professionali notevoli e una cultura, anche politica, di base molto solida, è passata al telegiornale, alla conduzione di dibattiti e di inchieste, con servizi di intervento spesso tostissimi, fra i tanti ricordo quelli ai drammatici fatti del G8 a Genova dove riscattò il silenzio di altre reti, con ore e ore “sul campo”. E sul campo si è meritata la promozione a direttore del Tg3 tenuta per sette anni con autorevolezza e autonomia. Dopo sette anni, di rete, una sostituzione ci può anche stare. D’accordo. Ma non in questo modo chiaramente brutale privo di motivazioni editoriali. Il giro di poltrone è chiaramente voluto dal premier Renzi per allineare l’ultimo Tg della Rai autonomo da Palazzo Chigi alla propria linea di governo tanto più in vista del referendum costituzionale e del SI alle sue riforme/deforme perseguito ormai con ogni mezzo.
Non era mai accaduto in passato che il presidente del Consiglio e segretario del partito di maggioranza nominasse il presidente della Rai, un consigliere decisivo e un super direttore generale. Non era accaduto in democrazia, perché Benito Mussolini, nell’insediare il CdA dell’appena creato Eiar (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) aveva nominato direttamente il fratello Arnaldo vice-presidente.
Certo, è incredibile che contro questo giro di nomine abbiano votato, oltre a Carlo Freccero, i tre consiglieri di centrodestra e a favore i due consiglieri di area Pd, Rita Borioni, già dalemiana di ferro, e Franco Siddi già segretario purtroppo non memorabile del sindacato giornalisti (di cui si è dimenticato tutto evidentemente). Bastava che avessero avuto un sussulto di dignità e questa eliminazione autoritaria di un direttore autonomo e quindi “scomodo” non sarebbe passata. Nossignore, allineati e coperti, anzi inchinati. E pensare che Matteo Renzi, all’inizio, aveva parlato (o cianciato) di una Fondazione tipo Bbc con garanti in grado di potenziare l’autonomia politica ed editoriale della emittente radiotelevisiva di Stato. Nel frattempo, niente garanti e il presidente-segretario che si fa Stato lui stesso con la legge voluta a tutta forza, peggio della Gasparri, senza che vi sia stato un corteo, un sit-in, un girotondo, una qualche protesta palpabile.