In questi scampoli di estate, con il campionato alle porte, assistiamo ai reiterati tentativi dei presidenti delle società di calcio di soffocare la libertà di informazione. Il bavaglio anche al pallone, era proprio quello che ci mancava.
L’ultima trovata è quella di Aurelio De Laurentiis, che dal mondo del cinema ha spostato prevalentemente i suoi interessi a quello del calcio. Il Napoli ha comunicato che le conferenze stampa di Maurizio Sarri nell’intero arco della stagione che sta per cominciare non saranno aperte a tutti, ma saranno riservate soltanto ai giornalisti delle testate invitate dalla società. In sostanza, se sei gradito e scrivi bene del Napoli sei invitato, altrimenti resti a casa. De Laurentiis non è nuovo a iniziative del genere. In passato sono intervenuto come consigliere dell’Ordine perché aveva vietato l’ingresso al ritiro del Napoli a un cronista, un’altra volta aveva quasi aggredito un giornalista.
Ma il vulcanico presidente partenopeo è in buona compagnia. La Roma ha ritirato l’accredito a due giornalisti durante il ritiro precampionato. Il presidente della Lazio, Claudio Lotito, giornalista pubblicista iscritto all’Ordine del Lazio, ha vietato accessi, ha ripreso colleghi in maniera molto colorita (per usare un eufemismo), ha partecipato a una conferenza stampa vietando le domande dei giornalisti al suo indirizzo. Un giornalista, tenuto a comportarsi secondo le regole deontologiche della categoria, che viola i principi basilari della libertà d’informazione. Curioso, no?
Insomma, i potenti di turno, i padroni del vapore del malandato calcio italiano, calpestano sul manto erboso i principi democratici del pluralismo informativo, attuando inaccettabili forme di discriminazione. I giornalisti graditi da una parte, quelli che danno fastidio dall’altra. La libertà di stampa è messa continuamente a repentaglio nel mondo dello sport, tra i grandi club come nelle piccole realtà di provincia, dove i cronisti vengono anche minacciati. Bisogna intervenire, prima che la situazione precipiti. Le società devono consentire a tutti i colleghi, senza alcuna discriminazione, di esercitare il diritto-dovere all’informazione.
Sarebbe preoccupante se questa deprecabile moda del calcio fosse trasferita alla politica. Immaginate dove andremmo a finire?