Oggi Giuseppe Tassi, rimosso dalla direzione di Qs dopo il titolo sulle atlete del tiro con l’arco che le definiva le “cicciotelle” chiede ancora scusa. “Con questo titolo volevamo rilevare – ripeto, in tono affettuoso – che anche le persone comuni possono diventare delle atlete di altissimo livello”, ha spiegato il giornalista.
E poi: “Ci siamo resi conto che poteva urtare la sensibilità di alcune persone”. Lo stesso titolo, aggiunge, ci sarebbe stato se il trio fosse stato maschile e non femminile. “Ripulire il nostro linguaggio è un traguardo da inseguire, ma senza ipocrisia”.
In realtà oggi più che mai i titoli, specie nel web, sono diventati di un’importanza assolutamente rilevante. Per questo motivo l’obiettivo di molti giornali e giornalisti è diventato soprattutto quello della provocazione a volte volontaria a volte no, così l’audience è assicurato a prescindere. Altro che “pulizia” del linguaggio. Non serve fare troppi studi per capire come il mondo dell’informazione stia letteralmente cambiando, sia nei contenuti che nelle modalità di carpire l’attenzione dei potenziali lettori, i quali nella maggior parte dei casi – ahimè – si soffermano solo ed esclusivamente sul titolo, senza neppure addentrarsi sul contenuto dell’articolo.
Insomma più forte è il titolo più cresce la possibilità di far breccia nel mondo del web. E poco importa se questa forma potrebbe andare a colpire la sensibilità altrui. Questo cambiamento in atto è soprattutto la conseguenza dovuta del massiccio uso e consumo dei social network, dell’impoverimento culturale a partire dalla limitazione delle battute di Twitter, fino all’uso spregiudicato delle terminologie che domina il pianeta Facebook, con i suoi farneticanti post in cui l’essenziale è il dominio assoluto dell’immagine. Un mondo patinato e ipocrita in cui tutti devono essere belli e “fighi”, tutti viaggiano nei migliori posti, mangiano pietanze prelibate e sono tutti ricchi. Insomma l’apoteosi della felicità in formato virtuale che spesso finisce per coinvolgere anche la realtà del quotidiano. E’ probabile che da questo punto di vista le tre atlete dell’arco siano state osservate, con lo stesso occhio in cui si misurano i social network: “Volevamo essere affettuosi, nei confronti di atlete che lottavano per una medaglia, che sono bravissime ma anomale, nel senso di fisicamente lontane dall’immagine che molti di noi possono avere di un atleta. Voleva essere un modo per avvicinarle a noi, non certo per offendere qualcuno”.
Avvicinarle a chi? Non sono delle extraterrestri atterrate sulla Terra per essere trattate come dei fenomeni da baraccone. Eppure ci vorrebbe davvero poco, basterebbe usare più tatto e rispettare ogni diversità, soprattutto quelle che non rispecchiano necessariamente l’immaginario collettivo, quello sì è anomalo. Il mondo dell’immagine a cui ci hanno abituato si vada a far fottere.
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