A chi torna utile una “guerra di religione” tra Islam e Occidente?

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Presi dall’emotività per gli attentati, sgomenti per la ferocia dei terroristi fondamentalisti, disorientati da analisi spregiudicate di alcuni esperti e da proclami interessati dei leader politici, non riusciamo a trovare risposte razionali al dilemma: “ma a chi fa comodo questa terza guerra mondiale a pezzi”, come ha giustamente chiesto Papa Francesco? Per il Santo Padre non c’è dubbio che quella cui stiamo assistendo “non è una guerra di religione, ma d’interessi, per i soldi, per le risorse umane, per il dominio dei popoli”, perché, al contrario, “tutte le religioni vogliono la pace”.

Finora, le tracce segrete lasciate dalla “longa manus” della Rete jihadista, legata più o meno al Califfato dell’ISIS, riportavano ai finanziamenti nemmeno troppo occulti di settori determinanti dell’Arabia Saudita e degli Emirati arabi, con la connivenza di apparati deviati della Turchia di Erdogan. Ma queste sono appunto tracce, impronte “di superficie”.

Per comprendere in qualche modo il “cui prodest” e stilare un profilo degli attori di questa “terza guerra mondiale per procura”, occorre tornare indietro nel tempo, agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, quando, finita la guerra tra i sunniti iracheni di Saddam Hussein e gli sciiti iraniani dell’ayatollah Khomeini, l’Occidente e i paesi arabi del Golfo, a predominanza sunnita, “scoprirono” che Hussein era un dittatore sanguinario, pronto a scatenare guerre chimiche e atomiche contro i nemici frontalieri. Interessate invenzioni!

In realtà, i motivi concreti erano da ricercarsi nell’occupazione di alcuni territori “fertili”, zeppi di petrolio e gas, e sul predominio del mercato mondiale per i profitti derivati dal commercio e dalle speculazioni finanziarie delle risorse energetiche. L’Occidente, ovvero gli Stati Uniti (con i presidenti democratici e repubblicani, da Carter a Reagan, a Bush padre, a Clinton e a Bush figlio) e i suoi tradizionali alleati, utilizzando lo schermo dell’ONU, prima appoggiarono l’Iraq contro l’Iran, poi il Kuwait contro l’Iraq. Nel frattempo, si era aperto un altro fronte di destabilizzazione, quello afghano. Qui era in corso una “guerra di liberazione” tra il regime al potere, laico e occidentalizzato, ma sotto il predominio sovietico, e i guerriglieri Mujaheddin, finanziati dagli Stati Uniti, tramite l’allora “fidato” Osama Bin Laden (collettore di finanziamenti e di armi tra gli USA, l’Arabia Saudita e gli Emirati arati). Per l’URSS l’Afghanistan si trasformò in una sorta di Vietnam: sconfitti, abbandonarono il paese del 1989. Tre anni dopo i fondamentalisti islamici, egemonizzati dai Talebani sunniti fondamentalisti, proclamarono la Repubblica islamica, imponendo anche la più cruenta, oscurantista e medievale legge della Sharia.

Nel frattempo, nel mondo il prezzo del petrolio e del gas aumentava in maniera esponenziale. Stessi incrementi per le grandi aziende di armi (sostenute massicciamente anche dai finanziamenti pubblici dei vari stati coinvolti): introiti da migliaia di miliardi di dollari tra commercio legale ed illegale, spesso reso possibile dagli apparati segreti.

I profitti fino ad oggi sono stati strabilianti, tali da arricchire quel 1% della popolazione già ricca ed impoverire ancora di più il restante 99%. Ma consegnando anche l’Occidente a crisi economiche e finanziarie continue, fino a quella che stiamo ancora attraversando dal 2008. Secondo le ultime statistiche dell’autorevole ONG “Oxfam”, il patrimonio accumulato “dall’1% dei più ricchi ha superato nel 2015 quello del 99% della popolazione mondiale: 62 Paperoni vantano lo stesso patrimonio di 3,6 miliardi di poveri”. La metà della popolazione mondiale, quindi, dal 2010 ha visto diminuire la propria ricchezza di 1.000 miliardi di dollari (-41%), mentre invece i 62 “Supermiliardari” l’hanno accresciuta di 500 miliardi di dollari, Dal 2010 al 2015 gli investimenti offshore, si sono quadruplicati: 7.600 miliardi di dollari della ricchezza di questi paperoni è depositata nei “Paradisi fiscali”.

Le successive guerre in Afghanistan nel 2001, contro i talebani e Al Qaeda di Osama Bin Laden, e quella contro Saddam nel 2003, completano questo quadro di destabilizzazione e di riposizionamento degli assetti politico-finanziari nel mondo capitalistico, dando vita a uno stravolgimento geopolitico e, soprattutto, allo sviluppo del fenomeno terroristico in maniera capillare, camuffato da “guerra di religione” contro “i crociati”, gli “infedeli”, gli “apostati”, nemici del Califfato e dell’Islam più radicale. Un’ambigua guerra di religione che ha fatto finora più vittime tra gli islamici e che alimenta l’odio tra sunniti e sciiti, bloccando l’evoluzione illuministica e moderata dei musulmani occidentalizzati.

Il flusso degli interessi e dei finanziamenti in nero, come il traffico clandestino delle armi, sono continuati a prosperare. Così come si sono sviluppate enormemente “l’industria della sicurezza” privata in mano a grosse multinazionali e le attività delle società di gestione dei satelliti e delle TLC, per acquisire le comunicazioni, i messaggi, le reti internet.

Sappiamo con certezza che il petrolio, le cui quotazioni si mantengono oggi tra i 40 e i 45 dollari per barile (nominalmente come nel 1990), ha mosso interessi enormi, spesso venduto tramite canali illegali per gruppi pseudo-indipendentisti, che rivendicavano l’abbattimento di regimi autocratici. Il top del suo prezzo si è avuto nel luglio del 2008, con i 147 dollari a barile, nel pieno della crisi economica e finanziaria mondiale. Da allora abbiamo assistito ad una discesa non rapida, ma sostanziale. In realtà nessuno sa di preciso quando “l’oro nero finirà”; studi attuariali, finanziati da associazioni indipendenti, come da società riconducibili ai potentati arabi, hanno sempre indicato la fine del greggio nei prossimi 50 anni. Ma sono almeno 50 anni che si ripete la stessa profezia.

Il prezzo dell’oro, altro “bene rifugio” per i grandi speculatori mondiali, specie quando il prezzo del greggio tende a ribassarsi, è passato dai 350 dollari della fine ‘90 al picco degli 850 dollari ad inizio crisi 2008, fino all’attuale cifra stratosferica di 1.208 dollari l’oncia.

Il petrolio arricchisce chi ne detiene i pozzi, ma anche chi lo trasporta con le navi e con le pipe-lines, così come il gas con gli sterminati gasdotti che attraversano i paesi d’Oriente (dal Turkmenistan all’Afghanistan, al Pakistan fino all’India), sconvolti dalle guerre intestine o occupati dai contingenti “alleati”. Chi in realtà ci guadagna senza troppi sforzi sono le società che speculano sui futures, quelle di impiantistica, le grandi multinazionali della logistica e della “securizzazione” degli impianti. Ormai la sicurezza, infatti, è appannaggio di grandi società private, per lo più americane, con ai vertici o tra i maggiori azionisti ex-membri delle varie amministrazioni di Washington (un esempio fra tutti fu il vicepresidente degli Usa sotto Bush figlio, e già Segretario alla difesa con Bush padre, Dick Cheney, uomo di riferimento della multinazionale Halliburton e fautore delle due guerre nel Golfo).

I cosiddetti “Contractors” difendono sia gli impianti, i gasdotti, le pipe-lines, ma anche le “Zone rosse” e i Compound dove vivono gli occidentali nei paesi a rischio, i comandi strategici delle forze alleate, i potentati arabi che non si fidano più nemmeno delle loro guardie islamiche. La sicurezza è il grande business del secolo (aeroporti, centri di smistamento del traffico passeggeri e merci, centri commerciali, ecc…). Le maggiori società di TLC hanno garantito nel 2011 e successivamente le comunicazioni satellitari via WEB nei paesi arabi in rivolta durante le “primavere”, fomentate dalla nuova amministrazione democratica di Obama. Mentre si diffondevano notizie via twitter o facebook con filmati, foto drammatiche e notizie incontrollabili, i grandi centri di ascolto della NSA e dei Five Eyes (l’Accordo UKUSA tra Australia, Nuova Zelanda, Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna) acquisivano milioni e milioni di metadati, utilizzabili sia per il controllo politico che per quello economico-finanziario e per “sensibilizzare” le opinioni pubbliche verso pericoli incombenti o presunti tali.

La sicurezza privata negli Stati Uniti è così invasiva, che ormai le maggiori multinazionali hanno appaltato quasi interamente anche la gestione dei penitenziari e delle carceri federali. Viviamo, insomma, in un nuovo “Eldorado” per le truppe mercenarie addestratissime e armate fino ai denti, ma che non vengono controllate da poteri pubblici, bensì da anonimi board azionari, espressioni di fondi d’investimento, quegli stessi che detengono i Treasury bonds dei maggiori paesi OCSE, a cominciare ovviamente dagli USA. Per queste società l’instabilità mondiale è foriera di investimenti e di profitti!

Il “dominio dei popoli” di cui parla Papa Francesco passa anche attraverso i grandi gruppi editoriali, proprietari di giornali tradizionali e online, di catene TV satellitari, di network WEB, di agenzie stampa, i quali orientano le opinioni pubbliche verso il senso di paura, di precarietà, di appartenenza identitaria, di nazionalismo esasperato. Si pensi alle campagne stampa e ai sondaggi sapientemente indirizzati per la Brexit o alle posizioni reazionarie in Ungheria, Polonia indotte contro gli immigrati (paesi della UE dove il controllo dei media pubblici e privati si avvale anche della censura); e, da ultimo, il contro-golpe di Erdogan in Turchia, il crocevia del traffico clandestino di armi per il Califfato, il mercato nero del petrolio i cui proventi in parte vanno proprio all’ISIS, e le mani sul traffico umano dei rifugiati, che ha fatto guadagnare pacchi di miliardi ad Ankara con l’accordo stilato dall’UE, pronube la Merkel, minacciata dalla presenza turca nel suo territorio.

Il terrorismo ad opera dei fondamentalisti islamici, è in ultima analisi una delle tante espressioni di questo scenario bellico per procura, ammantato da giustificazioni religiose improprie, perché dietro a questa ulteriore faccia della crisi del sistema capitalistico iperliberista, ci sono più attori, più “mani nascoste” e non “grandi vecchi”. Manca la ben minima intenzione di operare una riforma etica del sistema. Questa che viviamo è una guerra di potere, di interessi terreni, che non si può affrontare con le antiche categorie di analisi marxiane che contemplavano lo scontro tra le classi sociali o tra le nazioni capitalistiche concorrenti. E’ uno scontro tra due concezioni della civiltà umana: una che pone alla sua base la tutela e la sacralità della vita umana e un’altra che ha come suo totem il “Dio profitto”. E in questo scontro tutti i mezzi illeciti e mistificatori vengono utilizzati da chi a parole si professa scosso dalla “guerra di religione”, sapendo che si tratta di una bugia colossale dietro cui si nascondono le responsabilità dei “dirty affairs”.

Certo la “guerra a pezzi” di Daesh si deve combattere anche con mezzi militari, coinvolgendo non solo l’ONU, la NATO e i paesi arabi della regione, ma anche la Cina e l’India, tenute fuori finora. Ma è ora che contro questo terrorismo le intelligence europee e nordamericane, le magistrature e le forze di polizia specializzate adottino l’insegnamento di due grandi investigatori antimafia, Falcone e Borsellino: “seguire l’odore dei soldi”. E servirebbero anche una sorta di Wikileaks o una raccolta di informazioni come per i dossier Panama, operata dal Consorzio giornalistico indipendente ICIJ, per scoprire e denunciare questi “sepolcri imbiancati”.


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