[Traduzione a cura di Davide Galati, dall’articolo originale di Karabekir Akkoyunlu, pubblicato su openDemocracy prima del tentato colpo di Stato che ha avuto luogo venerdì 15 luglio. La nostra attenzione era già puntata sulla Turchia e riteniamo che le riflessioni contenute in questo articolo aiutino a farsi un’idea della situazione nel Paese precedente il fallito golpe.]
Poco dopo l’attacco all’aeroporto Atatürk di Istanbul del 28 giugno scorso, un collega greco ha pubblicato sul suo profilo Facebook un messaggio di solidarietà verso i suoi amici turchi. ”Resistete“, ha scritto. ”Non siete soli.“ Uno dei suoi compatrioti ha dichiarato di non essere d’accordo: “Sono soli, tra un governo autoritario che lavora sulla propria agenda e un’Europa che si rivolge a loro solo quando è alla ricerca di favori. La Turchia secolare, orientata all’Occidente, è molto sola.” La verità non poteva essere espressa più chiaramente.
Tra la routine esasperante degli attacchi suicidi di massa, gli hashtag #prayforistanbul, il black-out dei media e i messaggi di simpatia e solidarietà da parte dei leader mondiali, molti a Istanbul e in tutta la Turchia si sentono sempre più soli e scoraggiati di fronte alla fitta oscurità che sta inghiottendo sempre di più il Paese. L’influenza dell’UE qui è affondata a un livello tanto basso quanto la sua reputazione. Nessuno si aspetta che questi attacchi siano oggetto di indagini o, proprio per questo, che siano gli ultimi. Di sicuro, nessuno si dimetterà.
Come al solito, una ridicola ordinanza è stata emessa immediatamente e il primo ministro fantoccio del presidente Erdogan ha sommariamente concluso che non ci sono state falle nella sicurezza (anche se il servizio di intelligence turco era stato messo in guardia contro una minaccia proprio contro questo aeroporto solo poche settimane fa). La mattina dopo, i deputati dell’AKP hanno affossato una proposta di tre partiti dell’opposizione di istituire una commissione parlamentare per indagare sugli attacchi – proprio come avevano fatto dopo gli attacchi di Suruç e Ankara lo scorso anno.
Giovedì 30, il primo ministro ha parlato all’inaugurazione di un nuovo ponte. Il suo incipit sotto una pioggia di coriandoli: “Oggi è un giorno di festa…” Il Governo di Erdogan ha infatti un ordine del giorno: il controllo totale delle istituzioni statali della Turchia e l’impunità legale completa per le sue azioni criminali. L’ultimo attacco non l’ha fatto deviare da questo compito. Tardi, quella stessa notte, i parlamentari dell’AKP erano impegnati a rendere operativo un importante disegno di legge che ridurrà drasticamente il numero di dipartimenti e componenti delle alte Corti della Turchia, per sostituirli con giuristi selezionati con cura dal presidente – l’ultimo chiodo sulla bara del traballante sistema giudiziario.
La legge segue un’altra misura passata la settimana precedente, la concessione di immunità al personale di sicurezza e ai funzionari pubblici coinvolti in attività antiterrorismo – un compito che in questi giorni implica la caccia a docenti universitari, giornalisti e studenti in ugual misura che ai militanti. Mentre la Turchia scivola nella dittatura e nel caos, una sventurata Unione Europea ha annunciato venerdì 1 luglio l’apertura di un nuovo capitolo nei negoziati di adesione del Paese, svolgendo il proprio ruolo nello sporco baratto giocato con Erdogan sulla vita dei rifugiati.
In passato ancora di salvezza della democrazia turca, l’influenza normativa dell’UE è affondata insieme alla sua reputazione tra i suoi molti sostenitori di un tempo, che ora si sentono totalmente traditi e abbandonati.