Una serie di boati sempre più vicini, un’esplosione devastante nel cuore dell’ospedale pediatrico di Idlib, l’allarme incessante che suona a volume altissimo mentre decine di neonati piangono disperati. E il terrore.
Infermieri, medici e pazienti nel panico hanno cercato di portare aiuto a chi era ferito. Alla fine riversi a terra senza vita tra i detriti rimarranno due corpi. Una delle vittime delle bombe sganciate sulla struttura aveva pochi giorni. Era nato prematuro ed era in un’incubatrice del reparto di neonatologia, l’unico ancora attivo nel nord della Siria.
Il bombardamento sul plesso sanitario gestito da Save the children e dai partner locali dell’organizzazione non governativa internazionale, rappresenta il migliore spot che Daseh possa mai realizzare.
Non è ancora ufficiale ma sembra che il raid, che ha causato la morte di una donna e del suo piccolo ricoverato e il ferimento di altri bambini che erano nelle incubatrici, sia stato compiuto dalla coalizione anti Isis impegnata nelle operazioni militari nel conflitto siriano.
Secondo l’ong l’attacco è avvenuto alle 14 ora locale e ha riguardato l’ingresso dell’ospedale materno-infantile, situato nella provincia di Idlib.
“Si è trattato di un atto vergognoso” ha denunciato il portavoce di Save the Children. E noi condividiamo la sua convinzione che sia stata un’azione imperdonabile, sia che fosse intenzionale o causata da una mancanza di attenzione a evitare le aree residenziali.
Non ci sono scuse, soprattutto se si pensa che questo è solo l’ultimo di una serie di bombardamenti su centri sanitari nel Paese.
Nell’ultima settimana, quattro ospedali da campo della provincia di Aleppo hanno sospeso il loro servizio a causa dei bombardamenti.
Conseguenze di una guerra che non conosce più limiti, operazioni militari che non dovrebbero nemmeno sfiorare i luoghi in cui viene prestata assistenza e fornito aiuto ai civili. Come quelli di Save the children, Emergency e di Medici senza Frontiere, questi ultimi presi di mira per ben sei volte in meno di un anno.
Il 15 febbraio l’attacco più grave, un ospedale dell’organizzazione non governativa è stato distrutto da due colpi di mortaio che hanno causato la morte di 15 persone e decine di feriti che hanno subito mutilazioni.
Msf, che nel Paese supporta 150 strutture, ha denunciato che con la chiusura dei centri sanitari colpiti oltre 300.000 persone sono rimaste senza alcuna assistenza medica in una delle zone maggiormente interessate dal conflitto.
Nelle ore dell’attacco a Idlib anche Aleppo subiva una serie di bombardamenti che hanno costretto migliaia di civili in fuga. Sei le persone rimaste uccise dalle bombe sganciate dai jet russi che hanno colpito il villaggio di Abian.
Nell’attacco, che ha danneggiato diverse abitazioni, sono rimasti feriti molte donne e bambini.
Almeno 30 civili erano già morti il giorno prima in un altro raid russo sulla stessa area, altrettanti nelle 24 ore precedenti.
Numerose famiglie sono fuggite passando attraverso un corridoio umanitario ‘concesso’ dalle autorità locali, la cui creazione era stata annunciata giovedì scorso dalla Russia. Gli sfollati hanno raggiunto il quartiere di Salahuddin, controllato dal regime di Assad, dove sono stati accolti dall’esercito e trasferiti in centri improvvisati.
La recrudescenza degli attacchi su Aleppo si è intensificata negli ultimi tre giorni. L’esercito ha confermato di avere circondato i quartieri est della città, dopo avere tagliato tutte le vie di rifornimento. La Russia, alleata del governo di Damasco, prima di iniziare i raid aveva garantito l’apertura di quattro ‘vie sicure’ che permettessero a popolazione e guerriglieri d’opposizione moderata di abbandonare l’area. Tuttavia fonti mediche hanno ridimensionato tali affermazioni, parlando solo di un ‘limitato e condizionato’ canale per l’evacuazione di poche centinaia di persone.
Anche gli Stati Uniti hanno espresso forti dubbi sull’operato della coalizione guidata dal Cremlino e le Nazioni unite hanno chiesto che Mosca lasci a loro la gestione dei corridoi umanitari.
Alla fine il bilancio di morte in poco più di 48 ore, con 2 ospedali e tre villaggi bombardati, è stato di 80 vittime, tra cui 5 bambini e 8 donne.
Nell’annunciarlo Farhan Haq, viceportavoce del Segretario generale dell’Onu, ha rilevato come nel paese si sia raggiunto ormai un livello inaccettabile di mancanza di rispetto delle più elementari regole del diritto umanitario.
Gli attacchi avvenuti nella zona tra Aleppo ed Iblib, sono una indiscutibile violazione degli accordi internazionali. Attacchi che mettono in ombra le promesse fatte dalle parti in conflitto nel corso della conferenza di pace a Ginevra. Le tiepide speranze dopo l’annuncio di un cessate il fuoco, con la garanzia dello stop ai massacri di adulti e bambini indifesi, sono dunque state infrante nel modo più tragico: dalle bombe che in Siria non si fermano neanche davanti agli ospedali che curano civili innocenti coinvolti nelle azioni militari.
L’occidente a fronte di questi nuovi orrori non può restare indifferente.
È doveroso indignarsi allo stesso modo per le vittime siriane come per i morti di Parigi, Bruxelles e Nizza. È l’unica risposta adeguata al gesto di vicinanza di quei musulmani che a Rouen parteciperanno all’ultimo saluto a padre Jaques. Insieme ai cristiani. Gli uni accanto agli altri per mandare un messaggio chiaro a chi continua a seminare terrore e devastazione: non fermeranno l’azione di chi crede possibile il dialogo interreligioso. Unica vera arma contro il disegno di chi vuole imporre una brutale supremazia che in un mondo civile non può trovare spazio.