Mi avete chiesto di scrivere su Santo, un anno dopo. Ma non sono una vedova adatta alle commemorazioni ufficiali. Chi ci è passato, come la nostra collega e amica Baba Richerme, mi aveva avvertito che “dopo”è ancora peggio. E’ la verità. E scusate se non sono capace di parlare del Santo pubblico, anche adesso che gli dedicheranno, ed è una bella cosa, la saletta delle riunioni dell’UsigRai a Saxa Rubra. E’ un posto sindacale, non istituzionale, e gli si addice, anche se preferirei che continuasse a venirci a discutere e a litigare. L’amore è una faccenda squisitamente privata. Posso dirvi solo come l’ho privatamente celebrato in questi giorni, col magone che mi strangolava.
Ho rivisto le riprese del nostro ultimo viaggio negli Usa, che Gigi Conti al TG3 mi ha con tanto affetto “traslocato”in DVD. Santo sognava di montare uno speciale su New Orleans dopo Katryna, ma non è mai riuscito a trovare il tempo, erano troppe le urgenze lavorative che incalzavano. Però ci sono le riprese ripetute più e più volte, per sicurezza, perché non ci si improvvisa telecineoperatori, e le nostre voci dietro, a commentare, io spesso scocciata dalle infinite soste che la sua cocciutaggine mi imponeva. Ho rivissuto la gioia liberatoria di quel suo modo di fare vacanza “portando a casa qualcosa”, le sue interviste volanti nel suo impossibile inglese, la sua fissazione di andare on the road scegliendo i Motel più scalcagnati.
E me lo sono portata a Milano da Bruce Springsteen, perché è lui che ci fece incontrare nel 1988 e sempre, da allora, siamo andati insieme ai suoi concerti. Quando è partita “I’m on fire”è partito il cuore: quando ancora eravamo pendolari dei sentimenti, io a Roma, lui a Torino, una sera arginò i miei tormenti di innamorata gelosa mettendo, al telefono, proprio quel pezzo. Un po’ mi sono arrabbiata col Boss, che non “ci”ha fatto “Bobby Jean”, quella che dice ‘sentivamo la stessa musica, portavamo gli stessi vestiti’, così adatta a descriverci, e che ha saltato “Glory Days”, un inno trionfale nei suoni e un’infinita amarezza nel testo, proprio quello che Santo in Springsteen amava di più, quello che mi ha insegnato ad amare. Non sono brava a dire cose nobili e ‘alte’ di Santo, certe canzoni, certi momenti, certi posti, ci facevano sentire uniti come nessun altro al mondo. Non potevo non portare il mio amore alla prima data di Bruce, ma ho sofferto come un cane. Mi mancava la sua manona, che avvolgeva la mia come un guscio caldo. Santo mi prendeva per mano perfino quando andavamo in mensa, magari qualcuno di voi se lo ricorda.
Ho riletto “La Battaglia”di Steinbeck, perché Santo, senza farlo pesare neanche tanto così, tutte le cose che contano in libreria le aveva, e le aveva lette da tempo. Quando l’ho conosciuto, di Steinbeck, per dire, avevo letto giusto giusto “Furore”e “Pian della Tortilla”. Lui aveva letto tutto, e non se la tirava da intellettuale, erano passioni e basta. Erano sue. Su tutti i suoi libri c’è il suo nome e la data. Voleva ricordare esattamente quando li aveva letti.
Non ho paragoni illustri da offrirvi, solo quelli modesti che fanno parte della mia e della sua vita. Mentre ascoltavo Bruce Springsteen ho pensato che mi basterebbe sentire le sue mani sulle mie, come quando Demi Moore è al tornio con il “Ghost”di Patrick Swayze alle sue spalle. Mi basterebbe questo per continuare a pensare che la vita merita ancora di essere vissuta. Ma i film sono film, e onestamente della vita adesso non so che farmene.