Quasi cento morti a Kabul e Baghdad. Scarsissimo il risalto nei media internazionali

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Un centinaio di morti tra Kabul e Baghdad, lo stesso giorno. Una notizia a malapena ripresa dai media internazionali che ormai considerano quasi “fisiologici” gli attentati da quelle parti. Sono guerre che vanno avanti da quindici anni e sembrano lontanissime. Ma forse è questo l’ennesimo errore di noi occidentali. Tralasciando le quattordici vittime irakene, pensiamo agli 81 morti afghani. Il nemico è lo stesso ormai in tutto il mondo, lo stesso nostro nemico, e combatte non solo i cristiani, ma tutti quelli che non si allineano al “verbo” del profeta. Il Califfato continua ad espandersi spargendo sangue e le vittime sono anche musulmane, così come europee o americane. C’è anzi una forza in più in quello che considerano il loro territorio, la volontà di primeggiare  come forza del male. Lo spettro di al Qaeda è ora superato dall’Isis che continua nello scellerato progetto di uno Stato Islamico, diventando anche più feroce dei talebani che consideravamo i diavoli. Abbiamo inventato due guerre catastrofiche per batterli e ora invece sono loro, paradossalmente, l’argine contro il nuovo terrore.

Sembra che l’attentato di Kabul sia stato ordinato da Abu Zali, comandante di un piccolo distretto dietro le indicazioni, naturalmente, del califfo Abu Bakr al Baghdadi, l’ennesimo attacco dei sunniti contro la comunità sciita, considerata “apostata”. Una prova indiscutibile che il nostro intervento non ha certo portato la pace, ma ha semplicemente ribaltato la situazione, trasformando le vittime in carnefici (e viceversa). Colpita stavolta addirittura una minoranza sciita, quelli Hazara che si battevano per un diritto sacrosanto, cioè non essere esclusi a Bamijan dal megaprogetto elettrico. Pazzesco pensare che Bamijan è la città dei Buddha devastati dai talebani. Sono morti bambini, donne, poliziotti e come al solito anche giornalisti. Pazzesco anche il sistema: tre kamikaze nascosti sotto il burka, due si sono fatti esplodere, uno è stato ucciso. Proprio il burka, che i talebani hanno imposto per trasformare le persone in esseri che camminano, è diventato l‘arma letale.

Il presidente Ghani ha promulgato il lutto nazionale e ha deciso di intitolare ai Martiri la  piazza  di Dehmazang dove è avvenuto il massacro. Ma finché non capiremo che la strage è mondiale, cioè di tutti, non riusciremo mai a trovare una soluzione.


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