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La Turchia sospesa tra golpe e putsch. Chiusi Tv e giornali. Bloccato l’aeroporto di Istanbul

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L’alba ci dirà se quello in atto è un vero e proprio golpe militare contro lo strapotere di un ambiguo “satrapo” moderno, il presidente Erdogan, oppure un ennesimo putsch, un regolamento di conti tra opposte fazioni nell’esercito turco, tra i favorevoli all’attuale leadership, e i gli oppositori, magari guidati da una “mano sapiente e segreta” estera.

La Turchia, un tempo baluardo euro-asiatico contro il fondamentalismo islamico, il paese più laico e democratico rispetto alle dittature mediorientali e alle monarchie oscurantiste del Golfo, si trova così ad affrontare un nuovo stravolgimento del proprio sistema. E questo accade, proprio quando il “padre padrone” Erdogan ha messo in atto un’inversione di tendenza nella politica estera: lento abbandono delle posizioni espansionistiche contro la Siria; presa di distanza dall’operato del Califfato dell’Isis; controllo dell’organizzazione mafiosa turca del traffico dei migranti (grazie al quale ha ottenuto parecchi miliardi dall’Unione Europea). E soprattutto un riavvicinamento con la Russia di Putin, dopo le tante frizioni, culminate con l’abbattimento del Mig russo e le reciproche accuse di oscuri commerci di petrolio e armi con il coinvolgimento della famiglia dello stesso Erdogan.

Scusatosi pubblicamente con Putin per l’uccisione dei due piloti russi, Erdogan ha poi rafforzato la sua presenza militare insieme alla Coalizione, guidata dagli Stati Uniti e, in parte, chiuso un occhio verso Obama, che ha deciso di fornire aiuti e mezzi agli “odiati” Curdi, in prima fila proprio nella battaglia campale contro l’ISIS.

Questo riavvicinamento alla strategia occidentale e russa, potrebbe aver suscitato delle insofferenze in una parte dell’esercito, da sempre incline a rivendicazioni antirusse e anticurde. Già nel 1960, ’71 e ’80, i militari, unica vera “classe tecnocratica” del paese, fortemente antisovietica (per il “padre della patria” Ataturk, i russi-sovietici avevano tentato di impadronirsi oltre che dell’Armenia anche di altri porzioni storicamente appartenute all’Impero Ottomano), avevano rovesciato i governi eletti democraticamente, prendendo a spunto le lotte anche armate tra fazioni di destra e di sinistra.  Ma potrebbe essere stata anche la molla della parte preponderante, storicamente laica, pro-europea, legata agli ambienti Nato per dare una spallata al regime sempre più oligarchico e affaristico di Erdogan.

Dopo i golpe del secolo scorso, la Turchia fu “guidata” dalle élite militari verso forme di democrazia “controllata”. L’aiuto degli Stati Uniti (finanziario e militare), il nuovo ruolo di baluardo della frontiera orientale per la Nato, e l’avvicinamento reciproco tra Ankara e la comunità Europea (con l’interessata mediazione dei governi tedeschi) indusse a ripristinare le libertà fondamentali. Ma anche allora, come oggi, la Televisione di stato prima fu chiusa e poi fu sottoposta a censura, così come per i quotidiani e i partiti politici. Oggi, la scena si ripete: la TV di stato e anche alcune private sono state chiuse; i social network bloccati; oscurati i giornali online; rese difficili le comunicazioni tra i cellulari, anche via internet. Negli ultimi anni le voci dissidenti, turche e di origine curda, sono state chiuse e imprigionate, molti intellettuali e scrittori hanno dovuto abbandonare il loro paese e cercare rifugio in Europa o negli Stati Uniti.

Ora, la speranza è che da questo scontro tra i poteri forti militari e governativi venga risparmiato il popolo turco. E che non scorra altro sangue anche nelle terre martoriate del Kurdistan, da tempo l’isolata roccaforte contro il fondamentalismo sanguinario dell’Isis.


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