La carriera di Bernardo Provenzano, meglio noto come zu Binnu o u’ tratturi era incominciata negli anni Cinquanta insieme a Totò Riina a Calogero Bagarella (ucciso già nel ’69 nella strage di viale Lazio a Palermo) quando Provenzano era diventato il luogotenente più fidato di Luciano Liggio, allora capo incontrastato dei corleonesi. Il suo volto scoperto la mattina dell’11 aprile 2006, era ignoto persino ai “soldati” dell’esercito corleonese, era quello di un fantasma. Dopo la cattura di Totò Riina il 15 gennaio 1993 è toccato a lui il compito di prendere in mano le redini di Cosa Nostra, decimata dagli arresti e indebolita dalle “cantate” dei pentiti e di tentare di rimettere in piedi l’organizzazione mafiosa. Gli inquirenti negli ultimi anni si sono convinti che si deve a zu Binnu la contrattazione di un patto di non belligeranza tra le famiglie mafiose palermitane e i clan corleonesi. La sua scalata è incominciata negli anni Cinquanta quando Provenzano, insieme con Totò Riina e a Calogero Bagarella (che rimarrà ucciso nella strage di viale Lazio a Palermo nel 1969) diventa il luogo tenente più fidato di Luciano Liggio ,allora capo incontrastato della mafia corleonese. L’approdo ai vertici di Cosa Nostra avviene tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta: dopo aver infiltrato ogni cosca con uomini di stretta osservanza “corleonese” ed aver eliminato tutti gli avversari a colpi di kalasnikov, Provenzano e Riina sono ormai i capi assoluti di Cosa Nostra. Il nome di Provenzano compare in decine di processi. Di lui hanno parlato tutti i pentiti di mafia fino agli anni Novanta a partire dal boss di Riesi Giuseppe Di Cristina, dilungandosi sul complesso rapporto di amore – odio che lo ha legato per un quarto di secolo a Totò Riina. Il boss Luciano Liggio che tra i due aveva sempre privilegiato Riina,di Provenzano diceva:”spara come un dio ma ha il cervello di una gallina.. Interrogato dopo l’arresto Riina ha smentito ogni legame con “zu Binnù”:”so che Provenzano è un mio compaesano. Ma io non lo conosco.
Il pentito Totò Cancemi ha sostenuto che “Provenzano era il boss che tiene in mano tutti gli appalti e i rapporti con i politici.” Il pentito Gioacchino Pennino, medico, ex consigliere comunale Dc, ex uomo d’onore di Brancaccio, spiegato che Provenzano ha sempre mantenuto un ruolo di assoluto primo piano all’interno di Cosa Nostra: e che se Riina è stato per alcuni anni il capo militare dell’organizzazione, Provenzano rappresentava invece la “mente” politica, lo stratega in grado di gestire i rapporti con il complesso mondo della politica. Di Provenzano durante la latitanza si diceva che fosse morto e il boss nell’aprile 1994 inviò una lettera l presidente della Corte di Assise di Palermo per nominare i propri avvocati di fiducia in un processo per omicidio firmando la lettera con un nome di fantasia, Serafino Catalano, residente in via Albanese 18,un edificio a pochi metri dal carcere dell’Ucciardone. Fino a quel momento per 43 anni era stato coperto e informato di eventuali blitz e favorito nella latitanza. E’ riuscito prima di essere arrestato ad andare a farsi ricoverare e operare a Marsiglia facendo pagare le spese mediche alla Regione siciliana adoperando il suo falso nome inventato. Negli ultimi mesi il padrino stava male e porta con sé nella tomba segreti e misteri che solo Riina potrebbe conoscere.