In questa guerra ormai senza confini del terrorismo, non siamo più solo noi, i “crociati”, gli obiettivi ma tutti quelli che sfuggono al fondamentalismo più radicale. Non è più neanche un conflitto di classe perché pare che gli attentatori di Dacca fossero tutti figli di famiglie benestanti. Hanno colpito – secondo le testimonianze – tutti quelli che non conoscevano il Corano. Così come a Istanbul. Il fanatismo religioso jihadista non finisce mai, non concede tregua, si dissemina per il mondo, colpisce con ossessiva caparbietà.
Stiamo ancora piangendo i morti del Bangladesh che arriva un’altra notizia drammatica da Baghdad: un camion frigorifero imbottito di esplosivo ha fatto strage nel quartiere più elegante della capitale irachena. Spezzando la festa del fine Ramadan a Qarrada, simbolo della svolta di un Iraq che ancora sanguina dopo tredici anni: 119 morti secondo il primo bilancio, 160 feriti. Intere famiglie saltate in aria, molti bambini, aggiungendo odio a odio. Sembra che contemporaneamente un altro ordigno sia esploso a Baghdad est, provocando altre vittime: l’ennesimo kamikaze che si immola sull’altare dell’orrore. La folla ha sfogato la rabbia colpendo con pietre il convoglio del primo ministro al Abadi. Sciiti, tutti sciiti a una settimana dalla liberazione di Falluja che faceva seguito a quella di Ramadi. Immediata la rivendicazione dell’Isis. Segno che è una guerra che sembra non conoscere sbocchi, nonostante i tanto sbandierati raid aerei americani.
Ma forse è la fine dell’Isis, questa è la speranza. Sconfitto sui campi di battaglia (in Siria come in Libia) il Califfato intensifica il terrorismo dando l’impressione a tanti osservatori che si tratti di colpi di coda disperati. Di sicuro continua a mietere vittime civili, islamici “deviati” che massacrano il proprio popolo e anche chi racconta il dramma: sette giornalisti giù uccisi quest’anno, 314 morti dall’inizio del conflitto, 438 secondo il sindacato iracheno. In questa geografia religiosa a tratti incomprensibile, anche perché inquinata da realtà tribali, l’unico dato certo è che la cosiddetta democrazia imposta dal mondo occidentale ha semplicemente ribaltato la situazione, mettendo le vittime dalla parte dei carnefici e viceversa. A noi interessava il petrolio, a loro adesso interessa il Corano. Continuo personalmente a rifiutare l’idea di una “guerra santa”, preferisco pensare a uno scontro di civiltà, ma i segnali sono preoccupanti.