“La Sicilia non ha bisogno di simboli né di eroi, ha bisogno di normalità…”. Si presenta così, Giuseppe Antoci, presidente dell’Ente “Parco dei Nebrodi” di Messina, ad un evento organizzato dalla responsabile della Cgil Legalità, Gianna Fracassi, in Sicilia. Un uomo tutto d’un pezzo, Giuseppe, pronto al dialogo ed al confronto ma senza fare sconti al suo lavoro, senza eccezioni nella legalità. Quella legalità dei fatti, non quella a “parole”; ed è per questo che la mafia dei Nebrodi, quella di Messina, altra “provincia babba” come Ragusa, ha cercato di farlo fuori. Eppure di quella notte, lui, racconta come un “passaggio” della sua vita. Un passaggio che, per chi è convinto di fare solo ed unicamente il proprio lavoro, non dovrebbe mai accadere.
Un passaggio che, a leggere un paio di colleghi, potrebbe quasi essere “esagerato”. Ma si sa, da siciliano ho toccato con mano come la Sicilia sia piena di deficienti, soprattutto quando c’è da dire che “l’uva è acerba, non arrivandoci” (Fedro insegna…). Bontemponi che, pur di andar contro, parteggiano addirittura per i mafiosi.
Eppure Giuseppe Antoci non lo abbassa mai quello sguardo e non per arroganza ma per la voglia di andare avanti. “Paolo, ce la faremo. Ma dobbiamo fare squadra”. E’ la sua frase che, a distanza di qualche giorno, mi continua a rimbombare nella testa e nel cuore.
Fare squadra, sì. Quella squadra che non deve fargli mancare il calore umano. Mai. E dirlo a cavallo con il 19 luglio, giorno della tragica strage di Via D’Amelio, per me ha un significato più importante. In ricordo di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Perché solo insieme ce la faremo, hai ragione caro Giuseppe!