Il mio nome è bond, Rai bond. Non è un agente segreto, ma un debito pubblico, che ha il vantaggio di esentare la tv di Stato che lo ha emesso dal rispettare il tetto di stipendio di 240 mila euro, imposto ai dirigenti pubblici. La Rai ha fatto proprio così: emesso il titolo, gabbato il limite. E ora Campo Dall’Orto (650 mila euro!) e company hanno la possibilità di rispondere a chi si scandalizza, che loro stanno semplicemente rispettando la legge. D’altronde, quella dei mega-stipendi è una vexata quaestio. E come tutte le pessime abitudini nazionali parte dall’alto.
Cioè, da quei parlamentari che nel 2015 non riuscirono a ridimensionare i loro stipendi alla media europea, per l’impossibilità di calcolarla. Come dovette ammettere l’affranto Giovannini, capo della commissione incaricata, giustificandosi – senza arrossire – con la motivazione di non aver trovato criteri omogenei di comparazione in giro per i parlamenti europei. I parlamentari – tirato un bel sospiro di sollievo – archiviarono senza opporre resistenza la faccenda. Poi arrivarono i 5 Stelle, hanno capito al volo il grande impatto di questo tema, si sono autoridotti lo stipendio e hanno iniziato a fare il pieno di voti.
Ora, vedere parlamentari che scaricano le loro critiche sugli stipendi ingiustificati dei dirigenti Rai, come fanno Orfini ed altri, fa un po’ l’effetto del bue che dice cornuto all’asino. Anche perché quei dirigenti li hanno designati loro. Dopo di che, finita la vibrante protesta a favore di telecamere e taccuini, buoi e asini si ritrovano a pascolare insieme nelle verdi valli del privilegio. Senza darsi fastidio.
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