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Il docente che cambia la vita. “L’ora di lezione” di Massimo Recalcati

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“Sto per compiere i miei cinquant’anni e mi sei venuta in mente dopo diverso tempo. Decido di cercarti senza avere più tue notizie per dirti che in questi anni sei stata sempre con me. Ma trovo e leggo sul blog della tua scuola le testimonianze dei tuoi colleghi, ex allievi, genitori di ex allievi. I miei occhi si riempiono impietosamente di lacrime. Sei morta”. Se leggendo queste poche frasi qualcuno penserà alla corrispondenza tra due amanti, non sbaglia, sebbene in questo caso la passione, di sostanza non diversa, è quella che intercorre tra un ex studente e la sua professoressa. Giulia.
La rivelazione inattesa, giunge nell’ultimo capitolo di “L’ora di lezione” di Massimo Recalcati, psicanalista di scuola lacaniana; con un sottotitolo eloquente: Per un’erotica dell’insegnamento.

Il testo prevede un antefatto. Quando nelle scuole elementari della nostra repubblica c’era ancora l’esame per passare dalla seconda alla terza classe, l’autore era stato bocciato e l’insegnante aveva fatto capire alla madre che col bambino c’era poco da sperare, bisognava rassegnarsi. “Ero destinato ad essere l’idiota di famiglia, ero destinato a restare indietro”.  Ma la madre sapeva che le cose non stavano così e che l’assenza mentale, la noia, che impediva a suo figlio di seguire le lezioni alla pari degli altri compagni, aveva forse un’origine diversa. Tuttavia tale diversità, o ‘anomalia’,continuerà ad accompagnare l’alunno fino alle scuole medie, e poi alle superiori, spingendolo verso i ‘movimenti’ che sconvolgevano in quegli anni l’andamento ordinario della scolarità, con la prospettiva di dilapidare quel poco di apprendimento, sia pure acritico, comunemente accettato fino agli anni della contestazione. “Quando ti ho incontrata avevo diciotto anni e nella testa l’idea di lotta di classe come una guerra giusta. Avevo trovato nella rivolta politica il modo di difendere tutti i bocciati del mondo”.  Stava sopraggiungendo l’onda impetuosa del ‘77 e  all’Istituto Agrario di Quarto Oggiaro la rivolta dilagava dentro e fuori le aule: “Ho avuto amici che si sono persi: nella droga, nella violenza politica, nel terrorismo, in India, ovunque. La mia generazione è sprofondata nella melma informe del godimento mortale.”

Finché nella classe arriva lei, Giulia, la professoressa che parla dei poeti e della letteratura. “Ti ricordo bellissima. Avevi fatto la tua entrata tra di noi abbrutiti da una Scuola noiosa e stupidamente severa, come un corpo celeste che veniva da un altro universo. Cosa ci facevi lì? A Quarto Oggiaro, nella periferia estrema di Milano? Mi sono chiesto tante volte”. L’autore la ricorda vestita di un tailleur blu scuro e cravatta, con una mimosa gialla all’occhiello, in un 8 marzo festa della donna.  Rievoca il suo volto che si illuminava nella lettura in classe dei poeti, e di aver provato per la prima volta esperienza fisica e mentale del sapere come nutrimento. “Ti ho amata veramente? Sei stata un amore tra i più grandi della mia vita. E, come tutti i grandi amori, indimenticabile e insostituibile”. Massimo beve ogni parola dell’insegnante, si precipita a leggere ogni libro che lei cita, con la sensazione di camminarle vicino, di fare insieme la stessa strada, che lei già conosceva e per lui era nuova. “Sei stata come una traccia luminosa nella notte che non ci si aspetta, e quando arriva sembra trasformare ogni cosa. Potenza della  tyche, direbbe Lacan”.

Tyche in antico ellenico è la fortuna, ma anche il caso, il destino e soprattutto ciò che accade, con una connotazione non solo di casualità, ma anche di inevitabilità.

La lettera continua in una struggente confessione: “Dopo di te, Giulia, ho avuto solo maestri, uomini intendo. Tu sei il mio solo, vero, maestro femminile. Oggi dico: il più importante. Sei stata un nuovo alimento per me, un cibo sconosciuto di cui ignoravo l’esistenza. I libri erano oggetti inesistenti in casa mia. Tu mi hai insegnato per prima l’amore per i libri. Certo, i miei veri maestri sono venuti dopo di te. Ma ho potuto incontrarli solo perché ho incontrato te per prima. Quello che oggi mi strazia è di non essere più riuscito a parlarti, di non averti più cercata con la giusta ostinazione, di averti lasciata andare. Di aver accettato la legge consueta della vita. Ma io non credo che la semplice presenza, il visibile, esaurisca le forme dell’essere. Credo che questo libro ti arrivi come ti arrivavano gli altri”.

Ho letto questo libro con emozione, perché vi ho ritrovato raccolte con bel garbo dentro un sistema di pensiero psicanalitico, molte delle mie convinzioni, e non poche delle linee guida che ho  seguito nella mia docenza alle Accademie di Belle Arti. L’insegnamento non è, non può essere, come spiega Recalcati nella parte più teorica del suo scritto, un semplice travaso di nozioni inerti in chi ti ascolta per dovere o per obbligo (la scuola dell’obbligo) ma un rapporto d’amore, un atto erotico quasi palpabile, in cui qualcuno dischiude un intero mondo all’altro, gli dona una dimensione che prima non conosceva. Una sorta di transfert, simile a quello psicanalitico, in cui l’oggetto, anzi il ‘corpo’ del desiderio diventa il sapere stesso, un desiderio di apprendimento sempre più impellente attraverso la parola detta e  la parola scritta di cui i libri sono lo scrigno. Se il docente non è capace di creare questo passaggio, se non c’è amore, non c’è insegnamento. Dal momento che etimologicamente ‘insegnare’ vuol dire lasciare un segno, un’impronta nell’altro; e “educare” deriva da e-ducere, guidare fuori dalla condizione preesistente, così simile anche nel suono a se-ducere, attirare a sé, ammaliare: “Un maestro è degno di questo nome se sa rendere operativa la mancanza dell’Altro; una lezione è tale solo se sa tenere sveglio il desiderio, se sa generare transfert, trasporto, innamoramento primario sul sapere”.

Tutto ciò ci spiega Recalcati parlando dell’ágalma, l’ornamento o simulacro di Dio, che per Lacan è il desiderio di ciò che non si ha e che l’Altro incarna; parlando di Socrate e Agatone, dell’eromenos e dell’erastes, il maestro amato e il discepolo amante; parlando del vuoto e del pieno, e di come non sia possibile apprendere nulla senza uno sforzo di soggettivizzazione. Racconta anche il gesto di Emilio Vedova, docente di pittura all’Accademia di Venezia, che quando vedeva un alunno mesmerizzato dalla tela bianca, immergeva uno spazzolone in un secchio di colore e imbrattava quello spazio ipnotizzante: “Adesso sei libero – gli diceva – forza, lavora!”. Spiegando come la paralisi del vuoto sia piuttosto il complesso del pieno: il bianco immacolato contiene tutti insieme i pittori, le scuole, gli ingegni che ci hanno preceduto e che ci impediscono con il loro argine di lasciar fluire l’inconscio. Dunque il libro di Recalcati è anche un viatico, un manuale di creatività, indispensabile per chiunque si confronti con l’espressione, con la comunicazione del sapere, e più in generale per tutti coloro che non hanno ancora rinunciato a pensare. “Lo sappiamo tutti: un’ora di lezione può cambiare una vita, imprimere al destino un’altra direzione, sancire per sempre quella che si era solo debolmente già abbozzata. Tutti abbiamo fatto esperienza di cosa può essere un’ora di lezione: visitare un altro luogo, un altro mondo, essere trasportati, catapultati in un altrove, incontrare l’inatteso, la meraviglia, l’inedito”.

Chiedete ai vostri amici, ognuno vi dirà che nella sua esistenza c’è stato un professore che gli ha cambiato la vita. E’ stato così anche per Recalcati che, sostenuto dalla sua professione, ha avuto il merito di costruirci attorno un saggio illuminante, partendo dalla propria singolare vicenda personale:

“In quegli anni sei stata, Giulia, il mio amore segreto, il pane, la scodella del caffellatte, la sciarpa, l’eskimo, le scarpe, i quaderni di appunti, i miei libri, i miei dischi, le prime infatuazioni letterarie, l’interlocutrice silenziosa che accompagnava i miei pensieri, la voce che lentamente mi invadeva, il volto e lo sguardo che mi riempivano”.


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