Una fossa comune di legno dove avevamo rimesso e rimosso il nostro conflitto nell’essere divisi tra la pietà e la paura, l’accoglienza e l’invasione.
Il recupero del peschereccio è – in questo senso – un evento traumatico, ma necessario. Non solo per i suoi fini umanitari, ma per il suo valore “freudiano” nei confronti di tutto il Paese, lacerato da evidenti disturbi etici.
Vorremmo essere “buoni”, ma ci dicono che non possiamo permettercelo. Amiamo il Papa, ma solo se fa il papa. Cioè se offre conforto vago, ma non se richiama a responsabilità precise.
Il barcone ora è riemerso. Dobbiamo aprirlo, anche se sappiamo cosa contiene. Lì dentro c’è l’origine della nostra nevrosi. Di un Occidente che pensava di essere migliore perché ha fondato la propria etica sul rispetto dell’uomo come valore universale. E scopre invece che non sa che fare verso chi chiede aiuto, perché ha paura del dolore straniero.
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