Theresa May, che è diventata oggi primo ministro a Londra, prendendo possesso del celeberrimo appartamento di Downing Street dieci, e tra i ministri del suo nuovo governo, ha dato il posto d’onore al bizzarro sindaco di Londra, Boris Johson, investendolo della duplice responsabilità di guidare i diplomatici inglesi e di rappresentare in tutto il mondo il Foreign Office, ha pronunciato un discorso di investitura che è apparso più simile a quello di un partito socialista democratico europeo che a quello dei vecchi Tories britannici come molti si aspettavano.
Dalla leadership di un partito che mesi fa ha indetto-e non era in nessun modo obbligatorio-il referendum sull’Europa e che non ha taciuto a nessuno il suo parere personale di voler “remain” nelll’Unione Europea, si poteva attendere-e molti lo hanno fatto- una difesa di questa disgraziata iniziative politica. Il referendum è stato ricordato quasi di sfuggita: ci penserà il Parlamento e il partito che lo controlla a trattare con l’Europa i termini del distacco (se poi ci sarà). Theresa May è andata subito al cuore del problema sociale e politico che il referendum ha rivelato, la spaccatura del Paese in due nazioni, nelle Two Nations di Disraeli, i ricchi e i poveri ,gli istruiti e i gli ignoranti ,i cosmopoliti e i locali, gli avvantaggiati e gli svantaggiati dalla globalizzazione.
Ed è un discorso alla Disraeli quello che la la leader del partito,un discorso di unità della nazione:”We can make Britain a country that works for every one”,un paese che lavora per tutti e per ciascuno.” Il discorso si è concluso con una promessa solenne :”Sotto la mia guida il Partito conservatore si metterà al servizio -completely, absolutely, inequivocally-della gente comune, of the ordinary wokring people.” In mezzo ci sono affermazioni molto chiare su che cosa la premier intende per una Gran Bretagna che funziona per tutti, riconoscendo che l’attuale fase di globalizzazione-la libera circolazione di capitali, la concorrenza di Paesi a bassi salari, l’immigrazione-crea gravi problemi per i lavoratori meno qualificati, per imprese meno competitive per regioni e città periferiche. Non solo welfare ma politiche industriali . Ha mostrato un acuto senso politico che fa cogliere alla May il senso profondo del momento:” Il referendum- ha aggiunto- è un voto per uscire dall’Unione Europea ma è stato anche un voto per un grande mutamento, for a serious change.”