C’è un filo rosso che lega la mattanza che andò in scena a Genova quindici anni fa, tra l’assassinio di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, l’irruzione delle forze dell’ordine alla scuola Diaz, con annesso pestaggio dei manifestanti pacifici che vi alloggiavano, e le violenze andate in scena presso la caserma di Bolzaneto, in quella che Amnesty International ha definito “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale “, e la celebre intervista che Enrico Berlinguer rilasciò all’allora direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari, il 28 luglio 1981.
C’è un filo rosso perché, in fondo, a vent’anni di distanza, le parole dell’ultimo grande segretario della sinistra erano ancora più attuali del momento in cui furono pronunciate.
Quell’inno alla buona politica, quell’attacco durissimo sferrato contro la sua degenerazione, contro l’invasione dei partiti in ambiti che avrebbero dovuto conservare la massima autonomia, quella battaglia ferma e determinata contro un declino che aveva nella P2 (le cui liste erano state ritrovate pochi prima nella residenza del “Venerabile” a Castiglion Fibocchi) il proprio apice, emblema di un abisso di inciviltà istituzionale contrario agli interessi nazionali e in netto contrasto con lo spirito della Costituzione, costituisce un monito contro i liquami che emergono da quasi quarant’anni in numerose vicende della vita politica del nostro Paese e che raggiunsero a Genova, nei giorni dello scempio che andò in scena a margine del G8, il picco dell’indecenza.
E il dramma è che i veri responsabili di questa devastazione, di questa eterna P2 italiana, di questo costante tentativo di mettere in discussione il nostro sistema democratico, destabilizzandolo e rendendolo più fragile, al fine di preparare una svolta autoritaria di fatto, i mandanti degli innumerevoli delitti senza un colpevole, che compongono il triste mosaico dei misteri d’Italia, non sono noti e forse non lo saranno mai. Ogni tanto paga per tutti qualche povero cristo, qualche esecutore materiale, vola qualche straccio, si solleva un polverone momentaneo e finisce lì, mentre chi ha ordinato determinate stragi, chi ha messo in atto una raffinata strategia di depistaggio, al fine di distruggere le prove e deviare i sospetti su personaggi facili da incastrare ma il più delle volte innocenti, chi ha condotto in un certo modo le forze dell’ordine, chi ha gestito come peggio non si sarebbe potuto determinati eventi, facendo in modo che la tensione arrivasse alle stelle per poi approfittarne e strumentalizzarla a dovere, i veri responsabili di questa barbarie legalizzata ed erroneamente tollerata dal nostro popolo, insomma, possono dormire ancora oggi sonni tranquilli, approfittando di coperture e connivenze che hanno privato i partiti di qualsivoglia credibilità e ridotto il concetto stesso di politica nello stato comatoso in cui versa attualmente.
Perché si è persa la fiducia in tutto e in tutti, certo, perché i partiti sono diventate delle mere macchine di potere e di clientela, altrettanto certo, perché la famosa “questione morale” è stata irrisa e soppiantata nel tempo, anche a sinistra, da una spregiudicatezza senza precedenti, perché quella stessa sinistra ha cominciato a considerare utopie irrealizzabili i propri sogni di gioventù e si è progressivamente piegata ai dogmi del pensiero unico dominante, innalzando il capitalismo liberista a totem intoccabile e da venerare in maniera acritica, fino a generare una distanza incolmabile con il proprio popolo, ma più che mai perché milioni di cittadini hanno avvertito la necessità di costruire esperienze politiche dal basso, ritenendo ormai irrecuperabili e nocive le strutture costituite, le quali apparivano ai loro occhi dei meri poltronifici per una casta di pochi eletti. Ed ecco la nascita dei movimenti no global, perché non pensiate che questo fenomeno sia stato solo italiano, ed ecco l’incapacità, specie da parte delle forze della storiche della sinistra, di ascoltarli, di comprenderli, di incanalarli all’interno di un progetto di governo degno di questo nome; ecco la presunzione, l’arroganza, la tracotanza, la grettezza, la chiusura e, infine, inesorabilmente, la sconfitta, con il terzaviismo blairiano che ha condotto il progressismo mondiale nel baratro di due guerre sbagliate e dannose, di un modello economico insostenibile e foriero di disuguaglianze e di indicibili sofferenze per i ceti sociali più deboli, di strappi, forzature e incomprensioni con la propria gente che piano piano se ne è andata, rifugiandosi nel non voto o in quelli che in maniera troppo semplicistica vengono classificati come “populismi”, quando spesso, specie da noi, altro non sono che le conseguenze naturali di trent’anni di errori, di bugie e di cedimenti che intere generazioni, stremate dalla crisi e dalla mancanza di prospettive, hanno deciso di non accettare più.
E l’esperienza di Genova, da questo punto di vista, altro non è stata che lo spartiacque, il punto di svolta per quei figli del benessere che il benessere non ha voluto, per chi ha deciso di alzare la testa perché la direzione seguita, già quindici anni fa, era palesemente inaccettabile, per una generazione che da quel momento in poi non è stata più la stessa, in quanto i giorni del G8 rappresentarono la cesura di tante esperienze e l’inizio della destrutturazione di un mondo e di un universo di valori che negli ultimi quindici anni si è totalmente sgretolato. Non a caso, e lo dico da uomo di sinistra, oggi come oggi i concetti di destra e sinistra devono essere totalmente rivisti, ricostruiti, innervati di un senso nuovo e in sintonia con lo scenario complessivo di questo secolo perché le ideologie novecentesche sono finite per sempre e il sogno di un Ulivo mondiale, nel quadro socio-economico che si è venuto a creare, è del tutto velleitario, anzi somiglia ad un vero e proprio incubo.
Ammetto che ci ho creduto anch’io, ammetto che giugno anch’io a queste conclusioni al termine di un lungo percorso di riflessione che mi è costato moltissimo pure sul piano personale, ammetto che ho compiuto degli errori di valutazione e non ho problemi a riconoscerlo, ma così è e, proprio perché mi considero nonostante tutto un uomo di sinistra, con lo sguardo aperto sulla realtà del nostro tempo, non posso che accettare di buon grado la sfida di una modernità che non mi piace per niente ma dalla quale so di non poter sfuggire.
Al che mi torna in mente una delle frasi più significative di quell’intervista di Berlinguer, ossia il passaggio in cui rivendica che per i comunisti di allora, diciamo per gli uomini di sinistra di adesso, i pochi rimasti, “la passione non è finita”, probabilmente riferendosi allo straordinario afflato civile che un tempo induceva due leader assai diversi come Togliatti e De Gasperi a compiere gesti nobili quali l’amnistia nei confronti dei fascisti e il discorso tenuto a Parigi a nome di un Paese sconfitto e in macerie (in entrambi i casi, ricorre il settantesimo anniversario ed è bene sottolinearlo), anteponendo il bene della collettività a se stessi e alle rispettive esigenze di parte.
Ebbene, se vogliamo che le parole tornino ad avere un senso, a cominciare dal concetto di sinistra, dobbiamo ripartire da questo interrogativo di Berlinguer, posto alla fine del lungo colloquio con Scalfari: “Non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?”. Sì, è arrivato il momento di smetterla di turarsi il naso e votare il meno peggio e di mettersi al lavoro per ricostruire una comunità politica che abbia un senso e dei valori condivisi; e il primo passo da compiere, se vogliamo davvero essere credibili, non può che essere quello di chiedere scusa ed iniziare ad ascoltare i ragazzi che a Genova ci indicarono una strada che nei quindici anni successivi ci siamo presuntuosamente rifiutati di percorrere e un orizzonte di giustizia, emancipazione e diritti che ci siamo scioccamente rifiutati di prendere in considerazione.