BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Festival dei Due Mondi di Spoleto. Un bilancio più che positivo

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Ancora – e  sempre- si è trattato di magia ambientale e scenografica,  impalpabile emulsione fra  tempo andato (il Medioevo ‘secolarizzato’ dal seme del Rinascimento) e ipotesi di un futuro non del tutto consegnato all’egemonia dell’incorporeo, del virtuale, della comunicazione (sentimenti, emozioni) raggelata dal tossico- virale della serialità asettica, digitalterrestre, web televisiva.

‘Viva lo spettacolo’ dal vivo, potrebbe essere il passaparola, non nuovo ma da rinverdire, di  quel gioiello fervente  e romito di nome Spoleto,  ‘contenitore’  estetico  storicamente imprescindibile  per la proposizione  teatrale in Italia – sia essa di ricerca o di tradizione, categorie francamente manichee rispetto ad una costante commistione di stili, linguaggi, interpreti, prospettive. E dunque, sin dalla storica ‘scommessa’ del Maestro Menotti (ma perchè dimenticare Romolo Valli?),  luogo deputato per lo svolgimento di  un’indagine a tutto campo sullo status e il divenire del ‘lavoro del teatro’ (in tutte le sue espressioni) sia da parte di chi lo esercita, sia da parte di chi ne fruisce (anch’esse categorie ‘contaminabili’ oltre la convenzione della ‘quarta parete’)

Si instaura, in questo modo, un dialogo polifonico,  costantemente riverificato sulle tavole di palcoscenico, in cui vengono esaminati  i pilastri di un’arte scenica “oggi particolarmente esposta alla trasformazione, alla fusione tra codici e linguaggi afferenti a discipline diverse, alla manipolazione del tempo e dello spazio attraverso nuove tecnologie, alla contaminazione con la (ri)scrittura e la drammaturgia”- annota Giorgio Ferrara, direttore artistico della keresse. In particolare, il lavoro registico,  i mezzi a sua disposizione, il riflesso che ne deriva rispetto alla condizione\azione dell’attore non possono che essere in continua mutazione, “così come la figura dell’autore- aggiunge Ferrara- si configura come sincretica, trasversale a svariate declinazioni formali…musica, opera, prosa, cinema, balletto, performance, installazioni… incarnati di volta in volta dai diversi protagonisti della conversazione spoletina”.

Necessario però che “tutto il discorso intorno alla creatività, singola o collettiva,  non si esaurisca  sul piano teorico, ma venga sondato anche nelle sue implicazioni pragmatiche, misurate su uno scenario italiano in cui sembra mancare ogni progettualità sul lungo periodo” e sul quale, anche a rischio di lamentazione,  gravano precarietà perenni circa il ‘diritto acquisito’ o da acquisire rispetto alle minime certezze di  finanziamento pubblico (e privato), senza le quali ogni progettualità (non solo d’arte)  si spegne nell’  illusorio.

Sul piano effettuale tornano, a fine rassegna, a parlare le cifre:  50 titoli e più di 150 aperture di sipario tra opera, musica, danza, teatro, eventi speciali e mostre d’arte, per una  59esima edizione del Festival dei Due Mondi   passata dalle 5mila presenze del 2007 alle 70mila dello scorso anno. Appuntamento che lo stesso  ministro dei Beni culturali   Dario Franceschini, come da copione, definisce “eccellenza italiana di livello internazionale e occasione di riflessione su come sta cambiando in Italia il clima culturale”.

Qualche autocritica?  “Dopo anni di tagli al settore con ferite e lacrime – dichiarava  il ministro – adesso c’è un’inversione di tendenza: con il bilancio del Mibact che segna nel 2016 un +36% rispetto al 2015, una ripresa dei consumi culturali nel Paese, un concorso per l’assunzione di 500 persone al ministero e il miliardo di euro reso immediatamente disponibile dal Cipe per 33 interventi che ci consentono di completare i grandi progetti del Paese, dagli Uffizi a Brera, fino a Pompei, nonché di intervenire su nuovi progetti, come la Via Francigena”.
Con umano  compiacimento e pistolotto politico sul fatto “che per tre anni consecutivi alla presentazione del Festival si è visto lo stesso ministro. Segno della stabilità del governo”.

Meritate ovazioni, comunque,   il 24 giugno con ‘Le nozze di Figaro’ di Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte, evento inaugurale posto  in scena al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, con la regia dello stesso Ferrara, James Conlon sul podio e le ‘prestigiose’ scenografie  della coppia da Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo.

Della trilogia Da Ponte-Mozart l’anno scorso era andato in scena a Spoleto ‘Così fan tutte’ e presumibilmente nel 2017 sarà la volta di ‘Don Giovanni’, alla luce del proposito  del Festival di rappresentare tutte e tre le opere di repertorio. Il concerto di chiusura del 10 luglio ha poi ospitato il ‘battesimo’  a Spoleto del Maestro italo-britannico Antonio Pappano, alla guida dell’Orchestra di Santa Cecilia con Stefano Bollani al pianoforte e un programma che compendiava brani di Schoenberg, Lehar e Gershwin. Il direttore d’orchestra ha anche  ricevuto (a fine esibizione)  il Premio Fondazione Carla Fendi giunto alla V edizione.

Prospettive? Dopo la chiusura della kermesse, sin dal 13 luglio,  il ‘Roberto Bolle and Friends’ inizierà il suo tour proprio da Spoleto, città dove il danzatore italiano si è  esibito  per la prima volta.   Tra gli appuntamenti musicali di buon rilievo, il Concerto Italiano diretto da Rinaldo Alessandrini che ha eseguito  il ‘Vespro della Beata Vergine’ di Claudio Monteverdi, realizzato grazie al sostegno della Fondazione Carla Fendi. Alla Scuola di Musica di Fiesole è stata affidata la cura dei Concerti del Mezzogiorno e della Sera, mentre tra prosa e musica si collocava  “Tre Risvegli” (Teatro Caio Melisso) di Patrizia Cavalli, con la regia di Mario Martone, interpretato da Alba Rohrwacher e con le musiche della pluripremiata compositrice Silvia Colasanti, eseguite dal Quartetto Guadagnini.

Ed  ancora Bob Wilson, fedele al Festival, che quest’anno inscenava (sempre al Caio Melisso)   ‘Lecture or nothing’ di John Cage, con musiche di Arno Kraehahn, e il regista lituano Eimuntas Nekrosius che –a fine giugno- assemblava una scabra edizione di  “A hunger artist”di Franz Kafka. Tra gli stranieri, lo statunitense Tim Robbins, nella doppia veste di regista e musicista, con la   frugale  trasposizione teatrale di “1984” di Orwell  – 2 e 3 luglio- e una riflessione sulla Commedia dell’Arte con “Harlequino: on to freedom”’- dal 6 al 10 luglio.

Fra le tante piéce in scena a Spoleto (su molte delle quali contiamo di potere scrivere durante la stagione a venire) segnaliamo intanto “Il Casellante” di Andrea Camilleri e Giuseppe Di Pasquale con Moni Ovadia e Valeria Contadino,  “Il Ciclope” di Euripide nella traduzione volutamente ‘maccheronica’ di Enzo Siciliano, il quale  riesce a miscelare quasi tutti i dialetti dell’Italia meridionale, affidandosi all’inventiva scenica  di  Francesco Siciliano attore e regista. E ancora, Emma Dante con “Odissea A/R”(dal 6 al 10 luglio), “Filomena Marturano” di De Filippo con Mariangela D’Abbraccio e Geppy Gleijeses e la regia di Liliana Cavani (al suo debutto teatrale). Ed inoltre  “Utoya”   di Edoardo Erba con la regia di Serena Senigaglia   e “Volario” di Maddalena Maggi, magistralmente reso da Iaia Forte.

Dalla Vakhatangov State Academic Theatre of Russia è arrivata la prima trascrizione in prosa del romanzo in versi ‘Eugene Onegin’ di Puskin (8, 9 e 10 luglio), mentre Ezio Mauro ha realizzato (con scabro j’accuse) “Thyssen, opera sonora”,  cronaca drammaturgica dell’incidente della Thyssen di Torino con Umberto Orsini e Alba Rohrwacher, mentre Corrado Augias parlava dell’arresto e della morte  di Cristo in “Ecce Homo, anatomia di una condanna”

Per la danza, infine, oltre a Eleonora Abbagnato, che è stata Carmen nel balletto omonimo di Amedeo Amodio su musiche di Georges Bizet al Teatro Romano, si segnalano  il Czech National Ballett con “Romeo e Giulietta” di Profof’ev   e la Batscheva Dance Company con la direzione artistica di Ohad Naharin in ‘Decadance Spoleto’ al Teatro Romano – a  inizio di luglio.   Sin da oggi si ritorna a lavorare (Ferrara, Adriana Asti, il loro team) per “tutto quanto va reclutato, organizzato, messo in cantiere” per l’edizione dell’anno venturo.

Sessantesima e con “qualche orgoglio”.


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