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Erdogan salvato dalla tv e dai social ma è pronto a stringere più forte il bavaglio

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È stata una lunga notte in Turchia, la più incerta degli ultimi 19 anni. Nessuno avrebbe mai creduto che dal colpo di Stato del ’97 che depose il governo islamista di Necmettin Erbakan, il quarto nella storia turca, l’apparato militare del Passe potesse provare a sottrarre il potere a Recep Tayyip Erdogan, dal 2003 saldamente e ‘legittimamente’ alla guida del Paese, prima come premier e poi come presidente della Repubblica.
E invece è accaduto. Anche se non mancano le teorie della farsa orchestrata per giustificare un’ulteriore svolta repressiva.
I golpisti sono riusciti in poche ore, come da prassi, a occupare e bloccare le TV di Stato e hanno tentato di fare lo stesso per internet.
Ma non tutti i social media sono stati ‘interrotti’ in modo continuativo.
Grazie al software Tor, che ha diffuso nello stesso momento un modo alternativo di connettersi, gli utenti hanno potuto continuare a navigare e a pubblicare notizie su quanto stessa avvenendo.

Molti cittadini hanno fatto riprese live su Facebook e Periscope e lo stesso Erdogan ha lanciato il suo appello-intervento tramite Facetime sulla CNN. Proprio lui che odia e osteggia la stampa libera e i social media, e più volte in passato ha definito “delinquenti” i giornalisti che si permettevano di criticarlo arrivando a farli arrestare e processare, ha usato televisione e Twitter per contrastare il golpe e ‘arrivare’al suo popolo per incitarlo a scendere in piazza e a “resistere”.
E proprio grazie ai cittadini di Istanbul e Ankara, che hanno sostenuto l’azione della polizia rimasta fedele al presidente e che è riuscita a fermare e arrestare i golpisti, ha potuto sventare il tentativo di detronizzarlo, costato la vita a oltre 260 persone.
Questo potrebbe spingere qualcuno a credere che Erdogan possa cambiare atteggiamento verso i mezzi di informazione visto che, nel momento in cui era stato tagliato fuori dalla sua base di potere, si sia avvalso della tecnologia e della rete che demonizzava e cercava di spegnere da anni.

Non noi. Anzi siamo certi che proprio la consapevolezza delle potenzialità di questa forma di comunicazione e di informazione lo spingerà a stringere ancor di più il bavaglio.
È ancora vivido il ricordo del blitz delle forze di sicurezza turche nella sede di Zaman, il più diffuso giornale dell’opposizione. Dei lacrimogeni usati dai poliziotti per farsi strada tra i lettori e gli attivisti che si erano radunati sotto la redazione della testata che il giorno prima era stata posta sotto amministrazione fiduciaria governativa. Come la chiusura di emittenti televisive come IMCTV, unico canale nazionale a riportare un punto di vista non filo governativo sulle operazioni militari e il coprifuoco nel sud-est del paese.
E poi l’arresto e il processo a Cam Dundar e ad altri colleghi, ‘colpevoli’ di aver raccontato dei loschi traffici del governo turco con i terroristi dell’Isis.
Sono tutti ‘fatti’, questi, che inchiodano Erdogan alle sue responsabilità. Nulla di buono c’è da aspettarsi da chi con autoritarismo imbavaglia ogni dissenso e critica.
Articolo 21 è e sarà sempre al fianco dei giornalisti turchi che, temiamo, possano essere le prime vittime della prevedibile svolta repressiva post golpe.
Come hanno annunciato la nostra presidente, Barbara Scaramucci, e la portavoce Elisa Marincola, non lasceremo soli i nostri colleghi, gli intellettuali, gli attivisti e tutti coloro che in Turchia, e in particolare nel territorio curdo, non si rassegnano a tacere e continuano a denunciare abusi e accendere luci sugli angoli più oscuri. Siamo e saremo sempre con Can Dundar e il suo giornale Cumhuriyet, la sua inviata Ceyda Karan, il presidente di RSF Turchia Erol Önderoğlu, lo scrittore Ahmet Nesin e la studiosa e attivista Sebnem Korur Fincanci. Solo per citarne alcuni.
Per loro e tutti gli altri perseguitati del regime di Erdogan torniamo a gridare #NoBavaglioTurco e invitiamo alla mobilitazione tutte le organizzazioni per i diritti umani e la libertà di stampa e le cittadine e i cittadini che credono nell’articolo 21 della nostra costituzione.

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