L’attivista egiziano per i diritti umani, in visita in Italia, chiede giustizia per tutte le vittime del regime di Al Sisi. Da agosto a novembre 2015 sono 340 le persone sparite in Egitto e 289 sono state torturate
Roma – “Continuiamo a combattere per avere giustizia e democrazia in Egitto”, Abdelrahman Mansour, blogger attivista egiziano dei diritti umani, oggi alla Camera dei Deputati ha chiesto insieme all’Arci verità per Giulio Regeni e per tutti i “fratelli vittime del regime”. Nel 2011 dopo la morte del giovane Khaled ucciso dalla repressione di Mubarak, Mansour con un amico ha fondato la pagina Facebook “We are all Khaled Said”. Tramite i social network ha diffuso l’appello per la mobilitazione del 25 gennaio 2011, la grande ondata di manifestazioni che portò alla caduta del dittatore. Dopo la presa del potere da parte dei militari di Al Sisi, Mansour si è trasferito negli Usa, dove ora studia all’Università dell’Illinois.
“Cinque anni fa Al Sisi incontrava i giovani che avevano protestato nel 2011. C’è una foto che lo mostra in compagnia di dieci attivisti della rivoluzione. Oggi la metà di quei ragazzi sono finiti in carcere e l’altra metà sono all’estero. Nel 2011 avevamo la possibilità di protestare contro il regime di Mubarak. Abbiamo dato inizio ad una nuova era ma nessuno pensava che sarebbe stata più sanguinosa della precedente. Nel 2013 il generale Al Sisi ha preso il potere e ha iniziato una campagna di arresti di attivisti laici e di esponenti di gruppi politici. I giovani simboli della rivoluzione sono finiti in carcere. Il regime ha anche emanato leggi per proibire il diritto a manifestare. È in corso una guerra contro la gioventù egiziana. Dal 2013 al 2014 41.000 cittadini sono stati arrestati. Lo stesso Al Sisi ha dichiarato che nelle carceri egiziane ci sono giovani innocenti. Tra agosto e novembre 2015 340 persone sono sparite, 470 sono state messe a morte per terrorismo. Ci sono stati 289 casi di tortura e 16 denunce di violenza sessuale. Il pugno duro del regime è arrivato anche a quelli che non sono egiziani”, ha raccontato Mansour.
“Il regime non ha solo ucciso Giulio Regeni, un giovane ricercatore, ma anche ammazzato cinque egiziani accusati di essere la banda che ha torturato Giulio. Chiedo agli italiani di esercitare pressioni per avere verità. Come attivista non voglio un intervento politico da parte di un altro paese, ma voglio che il mondo alzi la voce contro l’Egitto. Bisogna bloccare la fornitura di software di spionaggio per intercettare gli attivisti, usati anche per intercettare Regeni. È il momento di rivedere le politiche estere europee. Il vero nemico non sono i profughi ma questi regimi che hanno costretto la gente a diventare profughi. Nel 2010 urlavamo la frase ‘Siamo tutti Khaled Said’, oggi nel 2016 urliamo ‘Siamo tutti Giulio Regeni’. Il sangue di Giulio e degli altri nostri fratelli può far cadere la dittatura in Egitto”.
Alla conferenza organizzata dall’Arci nell’ambito della campagna “Per Giulio Regeni, i diritti umani e la democrazia in Egitto”, era presente anche Erasmo Palzzotto vicepresidente Commissione Affari Esteri della Camera: “Le parole di Mansour non sono scontate: mette a rischio in prima persona la sua vita. Ci sono centinaia di giovani uccisi e scomparsi nel silenzio più assoluto. Il regime è responsabile della morte di Regeni direttamente e indirettamente. L’Italia ha ritirato il suo ambasciatore ma ora deve fare di più: deve sospendere la vendita di armamenti al governo egiziano e smettere di fornire i pezzi di ricambio degli F16 che il nostro governo regalava all’Egitto. Ancora oggi vende pistole e fucili utilizzate nella repressione di massa. Deve dichiarare l’Egitto un Paese non sicuro e accogliere i giovani che scappano da quella dittatura e che potrebbero essere uccisi se rimpatriati. Questa battaglia riguarda tutta l’Europa. Dobbiamo far sentire la nostra voce per Giulio e per tutti i cittadini come Mansour che lottano ogni giorno per la libertà”.
Per Riccardo Noury, portavoce in Italia di Amnesty International: “Non siamo ancora arrivati alla verità per Giulio. Dobbiamo immediatamente sospendere le forniture di armi e fare chiarezza sui software di sorveglianza. Se Giulio fosse stato un cittadino europeo, oggi gli ambasciatori allontanati dall’Egitto dovevano essere 27 e non uno. Va rivisto l’accordo di cooperazione tra Ue ed Egitto. Chiediamo che l’ambasciata italiana diventi un luogo sicuro in cui le persone possono dire cosa sanno. Bisogna dare una mano a chi combatte per la giustizia in Egitto e che non deve essere lasciato solo”.
Un appello accolto anche da Pia Locatelli, presidente del Comitato della Camera per i diritti umani: “Per promuovere i diritti umani bisogna prima di tutto proteggere i difensori dei diritti umani. Dobbiamo tornare a fare pressioni sul governo egiziano. Non fornire più i pezzi di ricambio degli F16 è un primo passo”.