BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Corbyn, Podemos e il trentennio tragico

0 0

Tragedie che si intrecciano, sconfitte che si susseguono, l’Europa che si disgrega e crolla sotto i colpi di un liberismo sempre più selvaggio, escludente e gonfio di diseguaglianze che devastano il tessuto sociale e inducono i più deboli a rifugiarsi fra le braccia di forze politiche pericolose, euroscettiche e, talvolta, addirittura anti-democratiche.
Tragedie che ci inducono a riflettere su quanto sia stata “fortunata” l’Italia a pescare, in questo catino ribollente di rabbia e di ferocia, una compagine, il M5S, che ha sì innumerevoli difetti ma che, al tempo stesso, non ha mai messo in discussione la tenuta democratica del paese né, tanto meno, avallato le degenerazioni da Repubblica di Vichy e il clima da pogrom che si respira, ad esempio, in Francia e in alcuni paesi dell’est.
Tragedie sulle quali, tuttavia, la sinistra è chiamata a interrogarsi a fondo, in quanto, come abbiamo asserito già altre volte, e come ribadiamo senza remore, se siamo sprofondati in questo baratro, la colpa è soprattutto nostra.

È inutile, infatti, rammaricarsi per la mancanza di senso di responsabilità e di moderazione di chi, disperato, solo e abbandonato a se stesso da anni, finisce con l’affidarsi al trumpismo, al lepenismo, ai neo-nazisti dell’NPD o ai pangermanisti d’accatto di Alternative für Deutschland, ai liberisti sfrenati travestiti da Robin Hood dell’UKIP o ad altri soggetti che giustamente fanno sobbalzare sulla sedia i frequentatori della “Terrazza Parioli” ma che altrettanto comprensibilmente appaiono, agli occhi di chi non ce la fa più, un’ottima soluzione per inviare un messaggio di sdegno e di repulsione ai sostenitori dell’establishment e ai fautori dello status quo.

Allo stesso modo, è inutile rifugiarsi in analisi fuori dal mondo come quelle che abbiamo letto in merito alla sconfitta di Podemos alle elezioni di domenica scorsa: Iglesias non ha perso, come si vuole far credere, per via dell’alleanza con Izquierda Unida, che al contrario è stata una scelta benefica, in quanto ha favorito l’inizio di quella ricomposizione a sinistra della quale si avverte il bisogno in ogni angolo del pianeta, bensì per la paura che ha attanagliato milioni di spagnoli in seguito alla Brexit.

Affidarsi a una formazione in contrasto con i dogmi di Bruxelles e i tabù liberisti e anti-sociali della peggior Commissione di sempre? Compiere un salto nel buio? Rischiare un aumento dello spread, in un Paese profondamente debilitato da anni di crisi economica e da una disoccupazione, giovanile e complessiva, di proporzioni allarmanti? Sono stati questi gli interrogativi che hanno indotto gli spagnoli a commettere l’errore di affidarsi nuovamente ad un partito, il PP, ultra-liberista e nel quale abbondano i casi di corruzione nonché tra i principali responsabili del disastro cui stiamo andando incontro in questi anni, in un Sud Europa dilaniato da una precarietà esistenziale, da uno scivolamento verso l’indigenza e da una perdita di certezze che ha favorito il disgregarsi dei blocchi storici e dell’antica e consolidata democrazia dell’alternanza.

E sono queste, assai meno giustificabili, trattandosi di parlamentari, le ragioni che hanno indotto il corpaccione del Labour a sfiduciare il mai amato segretario Corbyn, nel disperato quanto anacronistico tentativo di riportare indietro le lancette della storia, ad un blairismo ormai fuori tempo massimo, privo del supporto economico e sociale che ne favorì l’ascesa negli anni Novanta, incapace di fare i conti con una realtà sociale radicalmente mutata, nel contesto di un mondo non solo più globale ed interconnesso rispetto ad allora ma anche caratterizzato, ormai, da un multipolarismo che impone all’Occidente di riscoprire quei valori di solidarietà e coesione colpevolmente accantonati negli anni del thatcherismo rampante.

Perché dire che la società non esiste, che contano solo gli individui, che la povertà è una colpa e che bisogna abbattere il concetto stesso di bene comune, posto che è sempre sbagliato e dannoso per la collettività, e in particolare per i ceti più deboli, è assolutamente insostenibile in un contesto nel quale gli individui, da soli, sono in balia dello strapotere economico delle banche e delle multinazionali, la povertà è diffusa e morde, il lavoro sta venendo meno, anche a causa del progressivo e inarrestabile avanzare delle nuove tecnologie, e le privatizzazioni sono talmente diffuse e pervasive da aver messo in discussione il concetto stesso di Sato, oltre che la sua funzione e la sua ragione di esistere.

Un arroccamento insostenibile, dunque, una mancanza di rispetto nei confronti di centinaia di migliaia di elettori e, in particolare, dei più giovani, i quali si erano aggrappati a Corbyn vedendo in lui un segnale di cambiamento, un interprete credibile di una fase nuova, un modello da seguire, un punto di riferimento in una stagione storica nella quale se ne avverte più che mai il bisogno.

Illudersi di poter continuare lungo il filone blairiano, lungo una via ormai lastricata di fallimenti, divorziando definitivamente dall’anima popolare, dalle periferie intrise di rabbia che votano per l’addio all’Unione Europea ravvisando in essa un nemico, dalle nuove generazioni, con la scusa che tanto votano poco, e dalla propria tradizione storica e culturale nonché da tutto ciò che ciò che essa rappresenta, compiere un errore di queste proporzioni significa abbandonare definitivamente ogni prospettiva di governo, restringendo il proprio orizzonte a una fastidiosa difesa dell’indifendibile, dell’ingiustizia, dei divari salariali e dello scadimento nel nichilismo di generazioni per le quali un avvenire non è stato previsto.

Del resto, non si può comprendere ciò che sta accadendo in Spagna e nel Regno Unito e ciò che potrebbe avvenire, a breve, negli Stati Uniti e in Francia se non si comincia a fare i conti con l’essenza della dottrina liberista, con la sua insostenibile prepotenza, con il feroce senso di esclusione che essa genera, con i cedimenti e la subalternità della sinistra alla linea politica della destra, fino a divenire pressoché uguali, favorendo, al culmine di questa degenerazione, la nascita di grandi coalizioni che hanno posto la pietra tombale sulla fisiologica dialettica democratica della quale avrebbe bisogno qualunque paese.

Sono le conseguenze del trentennio tragico, del progressivo avvelenamento dei pozzi della democrazia, dell’affievolirsi delle differenze fra destra e sinistra, della scomparsa, anzi, per meglio dire, della soppressione, del concetto stesso di ideologia, del varo di sistemi elettorali che comprimono la rappresentanza in favore di una governabilità artificiosa, dunque fasulla e destinata a causare nuovi squilibri e una crescente instabilità, delle troppe riforme sbagliate, dei troppi elogi della precarietà, della flessibilità che ci mette poco a trasformarsi in disoccupazione, della divisione della società in due fazioni nemiche che non sono più destra e sinistra ma alto e basso, chi può e chi non può, chi ha e chi non ha, il novantanove per cento del ceto medio e dei poveri cristi contrapposto all’uno per cento di super ricchi e dei super privilegiati e, infine, dell’affermarsi di un’Unione Europea che ha progressivamente smarrito l’idea originaria di definirsi come comunità per abbracciare una visione mercantilistica e puramente commerciale in cui milioni di cittadini stentano a riconoscersi.

Questo siamo diventati in tutto l’Occidente: una democrazia fragile, in balia delle sue contraddizioni, non più innervata da una sana partecipazione popolare, con un tasso di astensionismo oggettivamente preoccupante, specie fra i giovani, una distacco inquietante fra il popolo e le istituzioni, un senso di scoramento collettivo, una fatica di esistere che impedisce di progettare o anche solo di immaginare il domani, un dramma che segna le nostre vite e le sconvolge, minando i pochi equilibri rimasti e costringendoci a gestire un’anomalia costante che impedisce di costruire qualsivoglia prospettiva e genera un senso di incertezza e di sconforto senza precedenti né possibilità d’uscita.

Rovesciare il paradigma liberista, ricostruire un senso d’appartenenza, una comunità e dei valori condivisi, restituire un senso alla politica, riavvicinarvi i giovani e fare in modo che se ne sentano protagonisti, porre fine alle inutili guerre generazionali, alle vulgate rottamatorie, ai fiscal compact e a tutte le altre norme che hanno espropriato i cittadini di ogni forma di sovranità, inscrivere anche i fenomeni più recenti in un contesto storico più ampio e non pensare mai che siano venuti fuori dal nulla perché non è così e chiunque ami la storia sa che ogni evento è sempre frutto di un lungo percorso: sono solo alcune delle cose da fare nei prossimi anni se vogliamo ridare un senso al nostro stare insieme. Altrimenti il trentennio tragico si interromperà comunque, perché davvero non è più sostenibile.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21