E’ morto il ragazzo nigeriano aggredito martedì a Fermo. Una veglia per ricordarlo: le istituzioni e i cittadini si stringono intorno alla donna, che ora è sola. Fuggiti da Boko Haram cercavano nelle Marche di ricostruire una vita insieme, dopo tanto dolore
Chimiary, moglie di Emmanuel. Foto: ©Ennio Brilli |
E’ UN PAESE DI PROVINCIA come tanti Fermo, arroccato su un colle, vicino al mare. E questo sembra un giorno come tanti, d’inizio estate, pieno di cicale, col caldo che incolla i vestiti. Ma non lo è: Emmanuel è morto e mentre si aspetta la conta “legale” delle ore per poterlo dichiarare tale, la storia del giovane richiedente asilo, fuggito con la sua donna da Boko Haram per andare a morire in un paese di provincia nelle Marche, rimbalza sui media, riempie le prime pagine delle edizioni on line e inonda la rete, tra solidarietà, cattiveria e cinismo. Emmanuel Chidi Namdi era ospite del seminario arcivescovile di Fermo, insieme alla sua compagna Chimiary, da otto mesi, nel progetto di accoglienza gestito dalla Fondazione Caritas in veritate di don Vinicio Albanesi. La sua vita si spegne a 36 anni, quando sembrava poter trovare un nuovo corso: vicino l’arrivo del permesso di soggiorno per la coppia secondo l’avvocato, Letizia Astori, che ne seguie la pratica.
Difficile immaginare con quali occhi Emmanuel e Chimiary potessero guardare questo piccolo paese, loro che hanno attraverso terra e mare per sfuggire all’orrore: Nigeria, Libia, poi l’Italia, dove sono arrivati a bordo di uno dei tanti barconi che prendono il largo senza certezze. Ormai soli al mondo: la famiglia sterminata da Boko Haram; hanno perso nel loro paese una figlia di 2 anni e un’altra piccola vita in arrivo si è spenta durante la traversata verso l’Italia, per le violenze che Chimiary ha subito prima di prendere il largo.
A ricordare Emmanuel, che come ha denunciato Chimiary è stato aggredito e malmenato per averla voluto difendere dalle offese di un italiano, una veglia. Un cerchio di candele nel prato di fronte al Seminario e intorno tante persone, circa 500: un anello dentro l’altro che si allarga man mano che la gente arriva, in silenzio: famiglie, scout, tanti ragazzi e bambini, etnie diverse e nazionalità che si mischiano, le istituzioni, i parroci, i volontari. Si stringono intorno a Chimiary arrivata qualche minuto prima che la cerimonia inizi dall’ospedale. Vestita di bianco, bianco anche il foulard che le raccoglie i capelli, sorretta da due giovani suore, Rita e Filomena, che non l’hanno lasciata un attimo da quando tutto è cambiato, nel pomeriggio di martedì. Seduta, tra le lacrime che non possono smettere di cadere, ascolta le parole che le vengono rivolte, quelle istituzionali e quelle della gente comune, e poi chiede anche lei di intervenire, di poter cantare per Emmanuel: un voce profonda, stanchissima e rotta dal pianto che chiede perché e dice che non vuole vivere se non può più avere il suo uomo con se. “Dio dove sei? Perchè mi hai lasciato in questo mondo cattivo senza Emmanuel? Vivere da soli è uccidere la mia vita”. Questo, dice, è il senso della canzone. Perché quella di Emmanuel e Chimiary è una grande storia d’amore che ha resistito alle violenza e all’orrore. Insieme, sempre insieme, sorretti l’uno dall’altra. Nel gennaio scorso era stato lo stesso don Albanesi ad unirli informalmente in matrimonio, con un rito antico, presso la Chiesa di San marco alle Paludi. Un sogno che si era avverato per i due giovani, visto che proprio per sfuggire alle violenze non erano riusciti a coronare il loro sogno di amore in Nigeria.
Ecco perché ora la preoccupazione più grande è per lei, Chimiary , che non ha più nessuno. Don Albanesi spiega che non la lascerà sola, che farà di tutto perché possa riprendere i suoi studi di medicina, anche se sarà un’impresa titanica. E spiega perché insieme al Vescovo di Fermo ha deciso di costituirsi parte civile, perché non si dica che è stata solo una rissa finita male. Il Vescovo ribadisce: “Questo gesto ha ucciso la speranza. Ma è solo un’apparenza, perché Emmanuel, che significa Dio è con noi, è con Gesù”. E lancia un appello perché la città resti unita in questo momento così doloroso. “Bisogna che Fermo ritrovi le fondamenta della sua fede”, dice. Il sindaco Paolo Calcinaro chiede scusa, commosso, e annuncia che anche il Comune si costituirà parte civile se l’istanza verrà accolta. Parla di un’altra città, quella accogliente e solidale che è la più viva e la più forte e saprà reagire.
Interviene anche Alhagie, uno dei ragazzi ospiti del Seminario come lo era Emmanuel e chiede giustizia. “Noi non vogliamo avere paura”, dice con un italiano semplice, comprensibile, parole che arrivano dirette al cuore: c’è tanto dolore, dice, “ma abbiamo capito la risposta. Grazie Fermo”.
Poi c’è la parte istituzionale: in serata tra le tante telefonate arrivate a don Albanesi quella del premier Matteo Renzi e della presidente della Camera Laura Boldrini e giovedì è atteso a Fermo il ministro dell’interno Angelino Alfano a portare il supporto del governo e a dire che lo Stato c’è. Ancora nessuna certezza sui funerali e sulla donazione di organi: il corpo di Emmanuel, ammazzato di botte, resta a disposizione degli inquirenti. (cch)