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Brexit: un voto contro l’Europa, ma non solo

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“Non si tratta soltanto del Regno Unito, che forse è sul punto di non esserlo più. E non si tratta soltanto dell’Unione europea, che forse è destinata a non esserlo mai. Si tratta della democrazia”

di Felice Mill Colorni

Se, nella più antica democrazia liberale, e in uno dei paesi da sempre più aperti al mondo, la maggioranza degli elettori ha scelto di inseguire il miraggio di un impossibile isolamento; se, il giorno dopo averlo fatto, ha preso d’assalto Google per cercare di capire che cosa cavolo fosse questa Unione europea e da quali paesi fosse composta, vuol dire che qualcosa si è rotto nel funzionamento della democrazia.

È contro l’Europa che ha votato la maggioranza degli inglesi? Anche. Dopo anni di disinformazione sistematica da parte dei media “popolari”, l’opinione pubblica ha abboccato anche alle bugie più smaccate. Ultima quella di Nigel Farage, secondo cui 350 milioni di sterline, una volta usciti dall’Ue, si sarebbero resi disponibili per il Sistema sanitario nazionale ridotto all’osso dai tagli: argomento fortissimo, tanto che lo slogan aveva fatto da sottofondo a tutte le manifestazioni della campagna per il “Leave”. Gli avversari replicavano che si trattava di menzogne, ma non sono stati creduti da un elettorato che prende per oro colato quel che gli propinano gli outsiders di qualunque tipo, e che diffida non solo dei potenti, ma anche di esperti certificati, ricercatori, studiosi e media “autorevoli”. Solo dopo avere incassato il risultato, Farage ha ammesso che si era trattato di un “errore”.

C’è stato qualcosa di tipicamente inglese nel voto referendario, come è stato rilevato: la sindrome dello “splendido isolamento”, la mentalità da “John Bull” (la macchietta popolare dello sciovinista benintenzionato, plasmato dal “senso comune”, pacioso ma bellicoso se provocato da stranieri malvagi, un po’ stolido e misoneista), la diffidenza nei confronti del “Continente”, la nostalgia imperiale.

Ma – come rimarcato in tutti i commenti – c’è stato anche qualcosa di ricorrente ormai ovunque: le fratture fra zone sviluppate e zone in declino, fra elettori istruiti e culturalmente svantaggiati, fra centri urbani e zone rurali, fra giovani digitali e anziani rimasti indietro, fra cosmopoliti e comunitaristi, fra elettori che apprezzano ed elettori che detestano la crescente diversità della società britannica. Linee di frattura che attraversano da decenni tutte le nostre democrazie. In forme più o meno aggressive a seconda della distribuzione delle opportunità fra gruppi sociali, e delle leadership che, spesso per casuali contingenze, interpretano fenomeni analoghi nei diversi sistemi politici: dove non c’è Farage, c’è “Alba dorata” (o c’è il populismo in versione hard e soft che caratterizza pressoché l’intera politica italiana attuale).

Nuove tecnologie, capovolgimento della piramide demografica e globalizzazione hanno messo in crisi la virtuosa crescita inclusiva che bene o male aveva caratterizzato la storia del dopoguerra. E non basta la volontà politica per trovare soluzioni all’altezza della gravità delle sfide. Al tempo stesso il nostro relativo declino occidentale è coinciso con la lenta uscita (pur molto diseguale) di larghe parti del mondo dalla povertà assoluta; e l’interdipendenza globale ha allontanato la probabilità di guerre globali annientatrici.

A elettori sempre più esigenti ma sempre meno capaci di esercitare consapevolmente le proprie scelte, privi di educazione alla cittadinanza, al senso critico e al senso della storia, una classe politica anch’essa di decrescente qualità intellettuale ed etica richiede scelte che sono sempre più complesse, anche perché sono venute meno le scorciatoie cognitive un tempo rappresentate dai partiti politici, che garantivano un’effettiva opportunità di partecipazione democratica anche agli elettori svantaggiati.

Così, l’attuale Europa intergovernativa rischia di essere soltanto percepita come un tassello dello svuotamento della democrazia. Un’Europa federale e direttamente e democraticamente legittimata potrebbe diventare, e anche apparire, come il solo strumento possibile per riconquistarla ai suoi cittadini? Certo non gliela potranno mai più assicurare i vecchi Statinazione europei, nel mondo globale pateticamente irrilevanti.

(pubblicato su Confronti di luglio-agosto 2016)


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