Ugo Amati, che i lettori già ben conoscono come valente psicanalista e ottimo scrittore (i due aggettivi sono intercambiabili), ci racconta questa volta una sua nuova avventura che si intitola AVEC (Tabula Fati pagg. 59 – 7 euro). Si tratta di una crociera di dieci giorni alle Canarie che risale al 2009, della quale l’autore avrebbe forse smarrito una piena memoria se non fossero riemersi a sorpresa da uno scaffale i dimenticati fogli di appunti: un giornale di bordo, come dire, una effemeride, che gli permette ora di ricostruire la navigazione in mare aperto; un’impresa che rappresenta, non solo simbolicamente, un’immersione nell’inconscio, con le sue isole, i suoi attracchi, gli incontri, le rivelazioni, gli improvvisi trasalimenti, e infine il riaffiorare dalla tela sottile di un disegno compiuto e taumaturgico. L’autore prende il largo insieme a suo figlio Davide, adolescente, in un momento di personale disagio fisico, oppresso da un’otite acuta e persistente all’orecchio destro e da un doloroso problema alle articolazioni delle ginocchia; e sale a bordo a Savona, primo scalo Barcellona, recando inavvertitamente con sé il libro Abords della Psychose di Danielle Roulot, sua collega per anni alla clinica psichiatrica lacaniana La Borde (il termine si ripete come un enigmatico refrain). Il testo di Danielle inizia così: “Avec le schizophèrenes, je crois qu’il faut parler de l’avec” (credo che a proposito della schizofrenia di debba parlare dell’avec)”. Che cos’è questo avec, che in italiano corrisponde alla preposizione con, di cui parla la dottoressa? E’ un modo di relazionarsi all’altro, spiega l’autore, più o meno fluido e variabile a seconda delle circostanze: “Un contatto labile, somigliante a nuvole multiformi e cangianti, ora innocue, ora minacciose”. Basta questa parola, avec, a mettere in moto un’affascinante macchina narrativa che dalla tolda della Marina Costa, nave da crociera ventenne (una vecchia ragazza), riconduce l’autore tra i pazienti della clinica descritti da Danielle – Cecile, Simone, Aléxandre, al quale la terapeuta rifaceva il letto ogni mattina – e a quell’avec di cui egli stesso ha bisogno, pari a tutti noi, per il proprio equilibrio psichico, il proprio incarnarsi nell’Altro che noi siamo. Chiede Cécile alla sua psichiatra: “Cosa significa essere incarnati? Qual è il prezzo che si paga per abitare il proprio corpo?” E la risposta ci giunge dopo molte pagine, e per altri circuiti, da Amati stesso che spiega in un singolare e raro abbandono, perché a un certo punto lasciò la clinica La Bord per tornare in Italia: “Non sono riuscito a staccarmi dalla penisola, a cantare La Marsigliese fino alla fine dei miei giorni. L’italiano, la mia lingua materna, era la mia crema solare. La pelle si spellava, in Francia. Ma non vorrei essere frainteso. Io non desideravo rifare avec con “Fratelli d’Italia l’Italia s’è desta”. Non era questo il punto. Io più semplicemente non sopportavo di parlare una lingua che non fosse la mia. Ogni sonorità Altra mi affaticava”. Ed esprime gratitudine al suo Maestro: “Lacan non mi trattenne e forse capì. Ero incurabile?” Poi lascia cadere lì, per nulla a caso, il riferimento all’Edipo, origine di tutti i complessi freudiani, confessando più avanti: “E’ dai sospiri materni che mi sto liberando. Ed è un miracolo se non sono diventato schizofrenico”.
Ecco dunque padre e figlio in viaggio. Mentre la nave si stacca dalla costa spagnola, una splendida coppia di animatori, lui un agile mulatto, lei una sensuale bionda brasiliana, incitano i passeggeri a unirsi a loro in uno sfrenato cha-cha-cha; ma l’autore è ancora con la testa a Cécile, è con lei che sta intrecciando passi di danza mentre gli acufeni gli tormentano l’orecchio malato e nell’orecchio sano insieme alla musica ritmata risuona una frase dell’antica paziente: “Il reale è molto difficile da dire ma ancora più difficile da tacere”.
Da Barcellona a Casablanca, da Agadir a Lanzarote, Las Palmas, Santa Cruz de la Palma, Tenerife, Malaga, Marsiglia. Di nuovo Savona. Ogni tappa un pensiero, tanti pensieri inanellati in una catena naturale: “Freud dice che i nove decimi dei pensieri sono inconsci. Nove decimi diventano dieci decimi quando si è vissuto un dramma”. La traversata procede senza scosse; mentre il figlio prende familiarità con la nave passando da un gioco all’altro, lui esplora se stesso: “Scrivere equivale per me al mantenimento del mio sentimento continuo di esistere. (…) Così come esistono per gli schizofrenici la cucinità, la lavanderietà, attività non sostituibili e abitudinarie che procurano loro un sembiante di esistenza, allo stesso modo esiste per me la scritturità, un’attività a cui sono sempre più fedele”. Davide è affascinato dall’oceano e dalle sue creature inquietanti: “Il fondo dell’oceano è inaccessibile e lui lo sa, e sa che non saprà mai cosa c’è sotto. Tuttavia insiste. E’ impossibile non subire il fascino misterioso e terrorizzante del «Grande Altro»”.
Raccolgo alcune pennellate d’artista che compongono bene il quadro d’insieme: “Agadir, mi spiega il tassista, vuol dire muro. E un muro implica necessariamente un al di là da scoprire”. Il tassista di nome Mohamed, giunto a fine corsa deve versare fino all’ultimo centesimo di guadagno nelle mani di “un brutto ceffo che gli sputa in faccia parole a raffica”, certo il proprietario dell’auto.
La nave si avvicina a Lanzarote, “sulle cui rive si distende una lunga striscia di case bianche. Stromboli, come prevedevo, è più affascinante, ma devo ammettere che sono prevenuto”. I croceristi: “Basta guardare i passeggeri per rendersi conto che stanno mettendo in atto l’ennesimo tentativo per cercare un po’ di ristoro e di felicità. Per qualche giorno forse riescono, ma è solo un’evasione transitoria. Vale comunque la pena di provare a sconfiggere Thanatos, come sta facendo un’adorabile signora tedesca con il proprio marito. Lui somiglia in modo impressionante a Samuel Becket”.
Verso Las Palmas: “Le prime manifestazioni di un deficit immunitario si hanno a livello delle gengive. (…) Non è passata neanche una settimana e già si vedono i primi miglioramenti, segno che è giunto il momento di partecipare a una escursione, uscendo da se stessi”.
Santa Cruz de La Palma: “Io stesso mi chiedo se questa crociera, di stazione in stazione, da un porto all’altro, non sia una piccola via crucis sulle orme del Padre”.
Santa Cruz de Tenerife: “Senza dubbio il mio paesaggio interiore è dominato dalla questione della paternità. Non sono stato un buon padre per mia figlia e temo che ciò si ripeta con Davide. Forse con lui sarà diverso, ma ho paura”. E anche: “Marguerite Duras diceva che più ci si oppone a Dio, più si vive e ancora meglio si scrive”. “Un po’ come mia figlia (il cui secondo nome è Margherita) che, quando la cerco, non si lascia cogliere come un fiore. Capisco il suo rifiuto. Lei ha realizzato perfettamente che Dio alloggia nel Nome del Padre. E ha capito che in certi casi si materializza come un insondabile malfattore”.
A Madeira: “Ecco i tetti rossi delle case di Funchal, ecco l’isola dove è nato Ronaldo.” E ancora lo Stretto di Gibilterra, già attraversato dall’amato poeta Ezra Pound incontro a dolori e gloria: “Sono fatte così le Colonne d’Ercole: non si può sapere cosa c’è al di là”.
Malaga, Marsiglia, l’arrivo in patria: “L’otite è guarita e le ginocchia non fanno più male. La pulsione viatoria (cioè del viaggio) può contare su un udito ritrovato”.
Il prezioso libretto è dedicato ai figli, Ludovica e Davide; l’autore, superando ogni soglia, confessandosi, mettendosi a nudo, ritrova la salute al termine della navigazione, e un po’ di guarigione la reca anche a noi. Insieme a una indefinibile felicità.