Ventiquattro ore in una cella di pochi metri. Per mesi, anni. In attesa di un fine pena che raddoppia di intensità quando ad aspettarlo è un detenuto disabile. Parla Antonio, 62 anni, paraplegico, che avanza la proposta. “La giornata più bella è quella dei colloqui con i miei familiari”
BARI – Ventiquattro ore in una cella di pochi metri. Per settimane, mesi, anni. In attesa di un fine pena che raddoppia di intensità quando ad aspettarlo è un detenuto disabile.
Sono 628, secondo l’ultimo censimento del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) e non sempre hanno attrezzature e stanze idonee al loro stato fisico le persone con disabilità ristrette nelle carceri italiane.
Ma il dipartimento ha già lanciato la sua sfida: “Un carcere a misura di disabile – spiegava alla nostra agenzia Paola Montesanti, direttore dell’Ufficio IV, Servizi Sanitari del Dap – è possibile e passa attraverso interventi personalizzati, territorialità della pena e formazione di detenuti in grado di prendersi cura dei compagni di cella disabili (caregiver). Tra i primi passi in questa direzione la definizione di sistemi di informazione tempestiva sugli ingressi in carcere e di monitoraggio permanente delle presenze”. E una circolare del Dap che detta le linee guida per garantire anche ai detenuti con disabilità una permanenza dignitosa negli istituti di pena.
A Bari, più di un anno fa, il lancio del primo progetto sulla formazione professionale dei caregivers: detenuti specializzati nell’assistenza e nel sostegno ai compagni con disabilità. Ma cosa cambia nella vita di un detenuto disabile quando ad assisterlo non è il ‘piantone’ ma un compagno formato professionalmente? Risponde Antonio, 62 anni, italiano, paraplegico.
Come trascorrono le tue giornate in carcere?
Male, perché non riesco ad andare all’aria (nel cortile del passeggio per l’ora d’aria concessa a tutti i detenuti due volte al giorno ndr) e per il resto rimango a letto.
Quali sono le maggiori difficoltà che deve affrontare quotidianamente una persona detenuta con disabilità?
Tantissime, perché non posso fare le attività (corsi culturali, sportivi e ricreativi destinati ai detenuti negli appositi spazi interni agli istituti ndr) e penso sempre alla mia condizione.
Quale tipo di assistenza offre il compagno caregiver?
Ti dà una mano per vestire, andare in bagno, pulire la cella e lavare i vestiti.
Qual è il rapporto che si instaura con il compagno caregiver?
Di amicizia e di rispetto.
Quali vantaggi hai trovato nell’essere assistito da un compagno professionalmente specializzato?
Insomma, non è come essere assistito in una casa di cura.
Che succede quando il compagno care giver viene trasferito o esce dal carcere? Ci si abitua subito a un altro assistente?
In carcere ci abituiamo a qualsiasi situazione.
Cosa dovrebbe fare il carcere, oltre a progetti come la formazione dei caregivers, per diventare più vivibile per i detenuti disabili?
Fare in modo che ci siano sezioni per detenuti disabili in più, per essere vicini alla famiglia.
La giornata più bella e quella più difficile che hai trascorso da quando sei in carcere
La giornata più bella è quella dei colloqui con i miei familiari. La più difficile è quando ho preso la condanna e di sapere che oltre il carcere avrei subito la mia disabilità, perché mi auguravo di poter rimare agli arresti domiciliari. (Teresa Valiani)