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20 anni di deregulation del web. Recuperiamo il senso dell’essere giornalisti

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Se è vero che viviamo un momento caratterizzato dal narcisismo di massa, coltivato sul web dai social network che di questo vivono, allora è giusto ripensare alla scelta fatta dai media con l’avvento di internet, cioè non nascondere mai nulla, mostrare sempre tutto. Oltre ogni limite. Quella scelta ha fatto il suo tempo. Venti anni di rete ci stanno facendo finalmente capire un po’ di cose. 

La scelta di non dare spazio alle immagini, ai proclami (allora li chiamavano “comunicati”) dei terroristi fu fatta negli anni ’70 nei confronti dei gruppi eversivi, fossero brigate rosse, NAR, o banda Baader Meinhof. Può darsi che per qualcuno il vero obiettivo fosse occultare, ma per il buon giornalismo era solo un sano intento di evitare emulazioni, di fare “pubblicità” a chi sparava, sequestrava, colpiva i singoli e lo stato. Se ne discuteva molto nelle redazioni, si litigava anche, ma l’obiettivo era ridurre il potere devastante di quelle parole, evitare il proselitismo, soprattutto quello dei folli, degli esaltati. Si cercò di agire con equilibrio anche di fronte a fenomeni diversi, come i suicidi con il gas in auto o il lancio dei sassi dai cavalcavia. Un ragazzo, in quei giorni, confessò che gli era venuta voglia guardando un servizio in televisione.

La Rai scelse quasi sempre la strada del non pubblicizzare. E la Rai allora dava la linea, segnava il percorso, e aveva in mano lo strumento più potente, la televisione.

Da anni si pensa, invece, che bloccare le immagini televisive, o le foto sui giornali, non serva più a nulla perché c’è internet, dove per definizione vige la deregulation. Forse non è proprio così.

Ovviamente in rete c’è spazio per ogni follia e finora a niente sono serviti i proclami dei colossi del web (da Facebook a Microsoft e Apple) di voler collaborare per combattere il terrorismo (salvo farsi forza del diritto alla privacy dei propri abbonati per non fornire materiale neppure all’FBI), ma questo non significa che il giornalismo, quello vero, quello che firma e si assume le sue responsabilità, non possa andare in controtendenza. Di fronte a quello che sta accadendo vale la pena di esercitare in modo diverso quel giornalismo responsabile di cui spesso parliamo. Prendendoci la responsabilità di non mostrare, di raccontare i fatti fino in fondo, ma senza dare spazio a chi vuole usarci per portare sempre più avanti la sua guerra insensata e il suo gusto di uccidere e uccidersi.

Questi nuovi assassini vivono in un loro devastante narcisismo perché il narcisismo nell’era del web e dei social è la nuova dipendenza: il richiamo del capo dello stato Mattarella al senso di responsabilità della nostra categoria è più che motivato, perché oggi decidere di raccontare coprendo i volti degli assassini, non ripetendo le stesse immagini, ricostruendo i fatti passo dopo passo, non lasciarsi andare ai facili slogan,  è fare un’informazione migliore, e ovviamente è anche fare più fatica.


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