È per questo che occorrono norme cogenti. Imposizioni insomma, tradotte in regole e ratificate dagli statuti. Spesso neanche queste bastano – come dimostrano le società che hanno trasformato i CdA in amministratore unico pur di sottrarsi al vincolo di genere -, ma per lo meno aiutano a mettere a nudo le contraddizioni. Quelle della maggioranza degli uomini, che una desinenza in “a” te l’accordano volentieri, ma che quando si tratta di sottrarre metà (o un terzo) del loro “monte poltrone” per destinarlo alle donne si scoprono un po’ meno libertari.
Si scrive maggioranza di uomini ma si legge maggioranza di potere, includendo dunque alcune donne arrivate che, lo sappiamo, purtroppo rigettano l’obbligo della rappresentanza pari o in quota dietro gli slogan “non sono un panda” e “solo per merito”. Infine, per dirla tutta, la composita resistenza al cambiamento ai vertici include anche l’immancabile posizione del tutto-e-subito (estremista? intransigente? antitrattativista? Scegliete voi.).
Un tema non facile, che anche fra noi di Giulia è stato molto dibattuto. Scatenando polemiche interne ad esempio nelle recenti elezioni dei vertici Inpgi perché a parere di alcune non si sarebbe fatto abbastanza per ottenere un numero più elevato di donne in cda. Ma se non li obblighi. Il precedente CdA aveva a lunghissimo discusso di riforma dello statuto, ma la legislatura era finita senza un nulla di fatto.
Ora probabilmente (un po’ di scaramanzia non guasta) ce la si può fare, grazie anche ad una presidente non solo donna ma anche giulia, dunque correttamente impostata, che si è impegnata nella riforma sin dalla sua candidatura e di nuovo ora assumendo direttamente la guida della commissione statutaria Inpgi. Certo, ci sarà sempre chi la riterrà tempo perso In tempi di “ci sono ben altri problemi”. Ma il vero sugo sta lì, nel rapporto di forza, nel rifiuto di cessione di potere.
Pazienza: non vinceremo subito, non vinceremo sempre, ma ce la faremo. Il comunicato Casagit.