Pina Grassi, ottantasette anni di battaglie e un addio senza clamore, come del resto aveva trascorso il resto della sua vita. Ci dice addio la moglie di Libero Grassi, assassinato venticinque anni fa dalla mafia per essersi rifiutato di pagare il pizzo e averlo annunciato pubblicamente in un articolo sul “Giornale di Sicilia”, esponendosi così alla vendetta di Cosa Nostra, la quale lo uccise per ritorsione affinché la sua ribellione non facesse scuola, il suo coraggio non divenisse d’esempio e la sua rivolta non si trasformasse in un monito e in un incitamento agli altri imprenditori ad alzare gli occhi al cielo, a sollevare la testa e a dire basta.
Perché questo, in fondo, è ciò che la mafia teme più di ogni altra cosa: il coraggio, la dignità, la passione civile, l’impegno, la difesa dei beni comuni, l’onestà che, diffondendosi, diviene conveniente, in quanto fa star meglio l’intera comunità, la dolcezza, l’umanità e tutti quei valori, quegli ideali e quei principi che costituiscono gli antidoti naturali alla piovra che vuole farci vivere nell’ombra, nella barbarie e nella disperazione, per poi lucrare sul nostro dolore e sulla nostra miseria, in un circolo vizioso nel quale prosperano unicamente le attività criminali.
Libero Grassi e sua moglie Pina, sposi dal ’56, non volevano questo, non volevano vivere in una società ridotta a una discarica morale, non volevano subire in silenzio, lamentarsi sottovoce, storcere la bocca ma infine cedere, arrendersi e rinunciare alla sfida a viso aperto, rassegnandosi all’idea che tanto non sarebbe cambiato mai niente.
Libero Grassi decise di opporsi, gridò, pagò con la vita quella sfida eroica alla mafia ma da allora molte cose sono cambiate e in Sicilia il fenomeno mafioso, anche grazie all’eco mediatica delle tragedie di Falcone e Borsellino e all’indignazione civile che esse suscitarono, quel cancro ha perso molto consenso, essendosi fatta strada, specie nelle giovani generazioni, l’idea che il “fresco profumo di libertà” di cui parlava Borsellino sia di gran lunga preferibile al puzzo del compromesso al ribasso e della svendita di ciò in cui si crede, delle proprie speranze e della visione del mondo che si vorrebbe perseguire, in nome di una tranquillità che, in realtà, altro non è che complicità, connivenza, omertà e tacito assenso alla devastazione della cosa pubblica.
Era il 29 agosto del ’91 e da allora sono nate associazioni anti-racket, movimenti e presidi di legalità, e anche sul tema della trasparenza e della pulizia della classe dirigente si è compiuto qualche piccolo passo avanti, a dimostrazione che il povero Libero Grassi non è morto invano e che la battaglia di sua moglie Pina, degna continuatrice di questa lotta strenua e decisiva per il nostro futuro, ha ottenuto risultati che sono andati ben al di là delle più rosee aspettative.
Ora riposa, che la terra le sia lieve.